paghiamo, paghiamo le tasse noi comuni testoni d'Italia
Sotto l’Etna il 23,9% degli inquilini non avrebbe i titoli per ottenere un alloggio
Le case popolari dei conti in rosso
Catania riscuote solo un affitto su dieci
Buco record di quasi 8 milioni di euro. Ma scatta la corsa a cento poltrone
ROMA — La notizia è dentro una ricerca fatta dal Censis e Federcasa con Dexia Crediop: alle case popolari di Catania chi paga l’affitto è una mosca bianca. La morosità aveva raggiunto nel 2006 il 92,5%. Su 8 milioni 617.680 euro di canoni lo Iacp del capoluogo etneo ne aveva incassati in un anno intero 644.376. Una miseria. Soprattutto considerando il costo medio dell’affitto: 67 euro al mese. Una situazione oltre i limiti dell’incredibile, che non si spiega soltanto con l’abusivismo dilagante, ai livelli più alti d’Italia. Su 10.003 alloggi popolari, a Catania ce ne sono 2.386 occupati abusivamente. È il 23,9% del totale. Un record nazionale battuto soltanto da Palermo, dove le case popolari occupate da inquilini senza titolo per starci sono circa 3.000, ossia il 27,3% del totale.
LA SCHEDA: guarda la situazione in tutta Italia
Di fronte a questo stato di cose sarebbe logico aspettarsi che qualcuno si rimboccasse le maniche. E non che invece, come sta accadendo in Sicilia, si discutesse di poltrone. Cento, per l’esattezza. Il caso è stato sollevato alla Regione da due «deputati» regionali del Popolo della libertà, Marco Falcone e Pippo Correnti. Sono stati loro a denunciare l’imminenza di una ondata di nomine agli Istituti autonomi delle case popolari siciliani. Gli enti sono dieci (uno per provincia più quello di Acireale), ognuno dei quali con dieci posti in consiglio di amministrazione: tre nominati dalla Provincia, tre dai sindacati, due dagli assessorati al Lavoro e ai Lavori pubblici, uno dalle associazioni degli inquilini e l’ultimo dagli ordini professionali. Una lottizzazione con il bilancino, dove al solito sono i politici a fare la voce grossa. Un caso per tutti: alla presidenza dello Iacp di Catania c’era fino a poco tempo fa Vincenzo Gibiino, parlamentare in carica eletto con il partito di Silvio Berlusconi.
Il fatto è che la Sicilia è praticamente l’unica regione a trovarsi in questa situazione. Nell’isola la riforma del 1998 che ha spazzato via gli Iacp in quasi tutta Italia, passando la competenza alle Regioni e trasformandoli in aziende con un consiglio di amministrazione al massimo di cinque componenti, non è mai stata attuata. I vecchi istituti per le case popolari sono sopravvissuti a ogni timido tentativo di cambiamento. Nei mesi scorsi il presidente della Regione Raffaele Lombardo ha sostituito i presidenti con commissari ad acta. E ora sono partite le grandi manovre per rinnovare completamente i consigli di amministrazione.
Uno scandalo, anche secondo il sindacato guidato da Guglielmo Epifani. Hanno denunciato Michele Palazzotto e Antonio Crispi della Cgil: «Gli Iacp rappresentano terreno di conquista per politici di ritorno e clientele politico affaristiche. In Sicilia ogni istituto ha ben dieci consiglieri, fra cui un presidente e un vicepresidente, tutti con status giuridico, indennità, diritto all’aspettativa e spese di missione». Di che cifre si sta parlando, lo spiega Falcone: «Con una legge regionale del 2008 gli emolumenti dei vertici degli Iacp siciliani sono stati parametrati a quelli dei vertici delle Province. La retribuzione del presidente di ognuno dei dieci istituti è pari al 75% di quella del presidente della Provincia». Facendo i conti, non meno di 7.500 euro al mese. «Lo Iacp di Catania, per esempio, potrà arrivare a costare 50 mila euro al mese per i compensi degli amministratori», sostiene il deputato regionale del Pdl. «L’esperienza dice che dove i vecchi Iacp sono diventati aziende e i consigli sono stati ridotti a tre, al massimo cinque componenti, si riesce a gestire il servizio senza contributi pubblici e magari ottenendo qualche piccolo utile. La Sardegna, per esempio, ha chiuso i vecchi Iacp e li ha riuniti in una sola azienda. In Liguria hanno fatto la scelta dell’amministratore unico. Come nelle Marche», dice Luciano Cecchi, il presidente di Federcasa, l’associazione che riunisce gli istituti riformati.
Non che i problemi manchino neppure dove la legge del 1998 è stata attuata. Nel Comune di Roma, per esempio, le case popolari occupate abusivamente sono 5.863, l’11,1% del totale. A Milano, invece, 3.409, il 5,2%. E se a Palermo la morosità, pur notevolmente inferiore a quella di Catania, raggiunge comunque la vetta del 34,7%, a Roma si arriva al 41,2%, con 21 milioni di euro non incassati ogni anno, e a Cagliari si tocca il 44%. Ben più che a Torino (32,5%), e addirittura a Napoli, città nella quale non si riscuote circa il 24% degli affitti delle case popolari. Mentre a Milano la morosità è al 10,2%, ma fra il 2001 e il 2006 è raddoppiata.
Sergio Rizzo
12 maggio 2009
Le case popolari dei conti in rosso
Catania riscuote solo un affitto su dieci
Buco record di quasi 8 milioni di euro. Ma scatta la corsa a cento poltrone
ROMA — La notizia è dentro una ricerca fatta dal Censis e Federcasa con Dexia Crediop: alle case popolari di Catania chi paga l’affitto è una mosca bianca. La morosità aveva raggiunto nel 2006 il 92,5%. Su 8 milioni 617.680 euro di canoni lo Iacp del capoluogo etneo ne aveva incassati in un anno intero 644.376. Una miseria. Soprattutto considerando il costo medio dell’affitto: 67 euro al mese. Una situazione oltre i limiti dell’incredibile, che non si spiega soltanto con l’abusivismo dilagante, ai livelli più alti d’Italia. Su 10.003 alloggi popolari, a Catania ce ne sono 2.386 occupati abusivamente. È il 23,9% del totale. Un record nazionale battuto soltanto da Palermo, dove le case popolari occupate da inquilini senza titolo per starci sono circa 3.000, ossia il 27,3% del totale.
LA SCHEDA: guarda la situazione in tutta Italia
Di fronte a questo stato di cose sarebbe logico aspettarsi che qualcuno si rimboccasse le maniche. E non che invece, come sta accadendo in Sicilia, si discutesse di poltrone. Cento, per l’esattezza. Il caso è stato sollevato alla Regione da due «deputati» regionali del Popolo della libertà, Marco Falcone e Pippo Correnti. Sono stati loro a denunciare l’imminenza di una ondata di nomine agli Istituti autonomi delle case popolari siciliani. Gli enti sono dieci (uno per provincia più quello di Acireale), ognuno dei quali con dieci posti in consiglio di amministrazione: tre nominati dalla Provincia, tre dai sindacati, due dagli assessorati al Lavoro e ai Lavori pubblici, uno dalle associazioni degli inquilini e l’ultimo dagli ordini professionali. Una lottizzazione con il bilancino, dove al solito sono i politici a fare la voce grossa. Un caso per tutti: alla presidenza dello Iacp di Catania c’era fino a poco tempo fa Vincenzo Gibiino, parlamentare in carica eletto con il partito di Silvio Berlusconi.
Il fatto è che la Sicilia è praticamente l’unica regione a trovarsi in questa situazione. Nell’isola la riforma del 1998 che ha spazzato via gli Iacp in quasi tutta Italia, passando la competenza alle Regioni e trasformandoli in aziende con un consiglio di amministrazione al massimo di cinque componenti, non è mai stata attuata. I vecchi istituti per le case popolari sono sopravvissuti a ogni timido tentativo di cambiamento. Nei mesi scorsi il presidente della Regione Raffaele Lombardo ha sostituito i presidenti con commissari ad acta. E ora sono partite le grandi manovre per rinnovare completamente i consigli di amministrazione.
Uno scandalo, anche secondo il sindacato guidato da Guglielmo Epifani. Hanno denunciato Michele Palazzotto e Antonio Crispi della Cgil: «Gli Iacp rappresentano terreno di conquista per politici di ritorno e clientele politico affaristiche. In Sicilia ogni istituto ha ben dieci consiglieri, fra cui un presidente e un vicepresidente, tutti con status giuridico, indennità, diritto all’aspettativa e spese di missione». Di che cifre si sta parlando, lo spiega Falcone: «Con una legge regionale del 2008 gli emolumenti dei vertici degli Iacp siciliani sono stati parametrati a quelli dei vertici delle Province. La retribuzione del presidente di ognuno dei dieci istituti è pari al 75% di quella del presidente della Provincia». Facendo i conti, non meno di 7.500 euro al mese. «Lo Iacp di Catania, per esempio, potrà arrivare a costare 50 mila euro al mese per i compensi degli amministratori», sostiene il deputato regionale del Pdl. «L’esperienza dice che dove i vecchi Iacp sono diventati aziende e i consigli sono stati ridotti a tre, al massimo cinque componenti, si riesce a gestire il servizio senza contributi pubblici e magari ottenendo qualche piccolo utile. La Sardegna, per esempio, ha chiuso i vecchi Iacp e li ha riuniti in una sola azienda. In Liguria hanno fatto la scelta dell’amministratore unico. Come nelle Marche», dice Luciano Cecchi, il presidente di Federcasa, l’associazione che riunisce gli istituti riformati.
Non che i problemi manchino neppure dove la legge del 1998 è stata attuata. Nel Comune di Roma, per esempio, le case popolari occupate abusivamente sono 5.863, l’11,1% del totale. A Milano, invece, 3.409, il 5,2%. E se a Palermo la morosità, pur notevolmente inferiore a quella di Catania, raggiunge comunque la vetta del 34,7%, a Roma si arriva al 41,2%, con 21 milioni di euro non incassati ogni anno, e a Cagliari si tocca il 44%. Ben più che a Torino (32,5%), e addirittura a Napoli, città nella quale non si riscuote circa il 24% degli affitti delle case popolari. Mentre a Milano la morosità è al 10,2%, ma fra il 2001 e il 2006 è raddoppiata.
Sergio Rizzo
12 maggio 2009