anche io ho frequentato dei corsi regionali per 6 mesi avendo una retribuzione di 240 euro al mese ed ora che che ho presentato il 730 ho dovuta restituire 300 euro questo e il nostro governo
[quote]leader:dA UNA PARTE anche io ho frequentato dei corsi regionali per 6 mesi avendo una retribuzione di 240 euro al mese ed ora che che ho presentato il 730 ho dovuta restituire 300 euro questo e il nostro governo [/quote]
ma qui e' diverso: chi e' in cassa e' obbligato a frequentare questi corsi, e possono avere svariati indirizzi.Appena messo in cassa,l'ufficio per il lavoro ti contatta e ti fa' crocettare tutto quello che ti piacerebbe fare , questi corsi durano all'incirca 2 mesi e mezzo non sono retribuiti e se non li fai non hai diritto ai soldi della cassa. E' vero,che hai pagato di piu' nel tuo 730, ma tu hai avuto la possibilita' di ricevere 240 euro al mese in piu', qua' questo non c'e' tranne se sei disoccupato.
Nello stabilimento campano boom di certificati medici durante gli scioperi. Cgil non firma l'accordo proposto dal Lingotto. Il 22 referendum tra i lavoratori.
L’Italia è uno strano posto che mischia tratti di efficienza, genio e avanguardia ad aspetti di assoluta irresponsabilità e menefreghismo. Qualcuno potrebbe azzardare che in fondo questo rende lo Stivale affascinante, ma la realtà è diversa dalle visioni arcadiche del pittoresco e la vicenda della fabbrica Fiat di Pomigliano d’Arco è la plastica rappresentazione del meglio e del peggio. Il meglio per chi alla fine ha siglato l’accordo (Cisl e Uil), il peggio per gli archeosindacalisti della Fiom che ha rovesciato il tavolo. Pomigliano non ha fabbricato solo automobili, ma anche assenteisti, furbetti vittime di improvvise epidemie di massa, frotte di tute blu che diventano rappresentanti di lista. Diritti trasformati in abusi. Un capo azienda ne uscirebbe pazzo.
Non conosco Sergio Marchionne e a volte le sue ruvidezze non mi convincono, ma bisogna dire che questo signore venuto dalla Svizzera ha una visione industriale, ha dato una scossa al mondo dell’auto e salvato la Fiat rendendola meno italiana, più americana ma soprattutto di nuovo capace di produrre belle automobili. Qui non è il caso di rifare la storia della casa di Torino e so benissimo che di errori in Corso Marconi ne sono stati fatti tanti. Anche a spese del contribuente. La Fiat ha avuto per decenni una sorta di funzione di ammortizzatore sociale. Oggi non è più possibile.
Il mondo si è allargato, ma il mercato si è ristretto e la concorrenza s’è fatta durissima, i costruttori di automobili che resteranno in campo forse si conteranno sulle dita di una mano e l’Italia - per tradizione e conoscenza - nel campo dei motori può dire ancora la sua. A patto che tutti - il sindacato, i lavoratori e il governo - mettano da parte le ipocrisie, i minuetti, i calcoli da retrobottega e guardino la realtà dei fatti. Termini Imerese è una fornace dove i costi di produzione sono insostenibili, Pomigliano d’Arco deve diventare una fabbrica moderna ed efficiente. Chi dice no, chiude la porta al futuro. Ma non potrà riaprire il portoncino del passato.
Furbetti Fiat tra permessi e malattie Operai al diavolo, la Cgil balla da sola
A ogni elezione migliaia di assenti. Certificati medici quando è sciopero. In media, ogni tornata elettorale, i dipendenti sono stati assenti per 3 giorni con un costo per l'azienda di 450 euro ciascuno.
Permessi per fare i rappresentanti di lista, gli scrutatori o i presidenti di seggio alle Politiche, alle Comunali, ai Referendum. Poi le malattie: sulla carta vere epidemie scoppiate, casualmente, nei giorni di sciopero. Sono migliaia i casi anomali di assenteismo registrati nello stabilimento Fiat di Pomigliano e in quelli di Melfi e Foggia. Ora una parte di lavoratori critica l'accordo proposto dal Lingotto che prevede, tra le varie clausole, di non pagare i giorni di malattia se coincidenti con manifestazioni sindacali o elettorali. Ma i conti non tornano. A Pomigliano il 9 aprile 2004, quando fu proclamato uno sciopero contro i ritmi di lavoro, risultavano malati 861 dipendenti mentre il 16 novembre 2007, sciopero per il rinnovo del contratto, 471 lavoratori hanno presentato il certificato medico. Ma il vero nemico della produttività di Pomigliano sono le elezioni. Ad aprile 2005, durante le consultazioni regionali, sono stati registrati 1.494 permessi elettorali (il 36,4% dell'organico), ad aprile 2006, con le elezioni politiche, hanno chiesto un permesso 1.725 dipendenti; a maggio 2006, per le Comunali, i permessi elettorali sono stati 425. Stessa musica a giugno 2006 (elezioni comunali e referendum): 1.696 permessi elettorali e ad aprile 2008 (elezioni politiche) 1.518 permessi.
In media, ogni tornata elettorale, i dipendenti interessati sono stati assenti per tre giorni con un costo per l'azienda di 450 euro ciascuno. Ma non è tutto. Un assenteismo anomalo si è registrato anche a Melfi. Il 28 e 29 marzo 2010, con le elezioni amministrative, sono stati presentati 3.085 certificati elettorali: 20 per presidenti di seggio, 36 per scrutatori. Gli altri 3.029 tutti rappresentanti di lista. Allo stabilimento di Foggia ad aprile 2008 i permessi elettorali hanno riguardato 614 lavoratori, a giugno 2005, durante i referendum, sono stati 630, un mese prima, per le elezioni regionali, i certificati sono stati 889. Assenze strane ma sempre a spese dell'azienda. Protesta la Fismic, che se la prende con la Cgil: «Se la Fiom intende fare una battaglia a tutela del diritto di sciopero per andare a vedere le partite di calcio, se la Fiom crede che sia giusto che il 60% dei lavoratori partecipi al seggio elettorale, se la Fiom crede che sia giusto farsi dare la malattia da medici compiacenti quando c'è uno sciopero contrattuale faccia pure. A noi tutto questo pare anacronistico, il sindacato non è mai stato per la difesa dei privilegi e delle furberie».
che dire, mettetevi daccordo o querelati giornalisti che scrivono falsità!
[quote]CIUPPI: [quote]leader: per ciuppi io sono uno dei cassintegrati che peroì non vanno al mare dal lunedi al giovedi bensi sono uno di quelli che pensano di arrivare alla fine del mese con 800 euro al mese enon perdere tutto quello che ho costruito negli anni [/quote]
per leader;):io invece ho un marito cassaintegrato al nord,non x la fiat fortunatamente ma metalmeccanico, che percepisce 750 euro al mese,e manco noi andiamo al mare dal lunedi' al venerdi' anche xche' come ho scritto sopra in piemonte non e' possibile se vuoi prendere i soldi,non so se anche in altre regioni siete costretti a frequentare corsi e agenzie interinali. [/quote]
fate attenzione ho parlato di cassa integrati mantenuti dalla madre o dalla famiglia. Lo capisco che per chi invece la famiglia la deve mantenere è diverso. Del resto anche nell'oasi dove vivo, alcuni cassa integrati hanno messo in vendita il camper e leggo sempre più spesso cartelli vendesi nei piazzali!
Una storia napoletana parte 2/b - Cattedrali nel deserto - di Gianni Di Nicola – parte 2/b Copyrigth 2006
.. Gli dettò un indirizzo e gli chiese di andare subito sul posto. Salvatore di buon mattino si infilò nell’Opel Agila e tornò sul litorale flegreo. Girò un poco per trovare questo posto perché non conosceva il nome della strada. Ma non appena gli diedero la spiegazione giusta capì dove si stava avviando. Proseguì a memoria e fermò l’Opel Agila davanti alla fabbrica di ruote . Trovò il cancello pedonale aperto ed entrò senza bussare. Giunto davanti ad una porta d’emergenza si accorse che era accostata ; spinse ed entrò nel grande reparto produttivo. Salvatore aveva ritenuto a torto che la fabbrica fosse deserta. Ora davanti ai suoi occhi lavoravano decine e decine di persone. Perfino i bambini facevano finta di lavorare e qualche vecchio li intratteneva . Nessuno si preoccupò di Salvatore, perché nessuno aveva intenzione di lasciare , nemmeno per un istante , il lavoro. Questi solerti lavoratori però non erano napoletani soggiogati dal carisma della vedova ; erano ospiti del nostro paese e figli del Sol levante. Erano cinesi. Uno di essi fermò la macchina da cucire a pedale e giunse rapidamente da Salvatore. Lo condusse dinanzi ad un rubinetto e gli mostrò che non c’era acqua ; poi spinse la leva di un interruttore e gli fece capire che non c’era nemmeno energia elettrica. Salvatore gli fece un cenno d’intesa ed uscì fuori all’aperto. Stava quasi andando a rimettere in funzione le leve nel pozzetto e nel quadro quando ebbe un attimo di esitazione e si allontanò rapidamente con l’Opel Agila. Tornò qualche ora dopo in abiti da lavoro ed un ragazzo , forse uno dei suoi figli , che gli reggeva la cassetta degli attrezzi. Si fece dare uno scaletto ed andò in giro per la fabbrica ad aprire quadri , quadretti , tombini , chiavi. Fece tornare l’acqua , poi la fece andar via di nuovo , poi fece altrettanto con la luce e poi alla fine chiamò il cinese. In una lingua improbabile fatta di gesti e suoni simili a quelli che lui riteneva fossero parole cinesi , Salvatore gli spiegò che aveva riparato provvisoriamente il guasto e che potevano riprendere a lavorare. Il giorno dopo lui sarebbe tornato con i mezzi necessari ed avrebbe fatto delle saldature riparando il guasto in maniera definitiva. Il cinese gli restituì ampi gesti di ringraziamento che andavano dal sorriso alla stretta di mano e finivano con l’inchino. Salvatore gli disse di parlarne con la proprietaria ed il cinese annuì. Poi , per essere più chiaro ,ne pronunciò il nome : “ La vedova “. Il cinese fece un nuovo inchino. Salvatore gli fece un cenno affermativo con la testa ed andò via. In effetti Salvatore aveva dovuto riaprire soltanto le doppie chiavi , da lui nascoste nel pozzetto tanti anni prima . Il resto del suo lavoro era stato costituito da una vera e propria finzione , voluta dai fatti e dal suo bisogno di denaro. Il denaro che gli offrì Francesca era interessante per lui ; ma ancor più lo era la proposta che lei gli fece subito dopo. Salvatore si sarebbe dovuto occupare in prima persona della manutenzione di tutte le proprietà della vedova. Aveva cominciato con la fabbrica di ruote e doveva continuare con tutte le altre fabbriche che lei aveva. C’erano i megastore e poi c’erano gli appartamenti , gli alberghi, le Sale Bingo e le Sale di scommesse ed i parcheggi e le multisale cinematografiche e perfino le cappelle nel cimitero dov’era sepolto Ciccillo. Insomma Salvatore , da quel momento in poi , di lavoro ne avrebbe avuto abbastanza e sarebbe stato pagato bene , come una persona di fiducia. Il tutto grazie ad una finzione non voluta , grazie al caso , grazie ai ricordi su cui Salvatore aveva indugiato... Lui aveva ricordato il suo passato ed era andato a rimboccargli le coperte ed il suo passato era tornato da lui per restituirgli un segno tangibile della sua riconoscenza. “ Valla a capire questa esistenza ! ” pensava Salvatore. “ Ero con il culo per terra ed ora sono di nuovo in piedi. ” “ Cosa debbo pensare ? Allora feci bene a partecipare alle estorsioni alla Cassa ? Se ora mi danno lavoro !...” “ Oppure non cambia niente e sto solo sfruttando una occasione che mi si è presentata ? Magari lo sto facendo perché ho saputo fare la sceneggiata con i cinesi ? Ma quella ci stava...” “ Allora potrei anche pensare che poi la vita è tutto un caso , una occasione , e che non c’è premio e non c’è castigo. Queste estorsioni alla Cassa pensavo avessero distrutto l’economia della città ed invece ci scopro che esse funzionano.” “ Certo funzionano , ma in mano alla vedova e con i cinesi ! La economia della città dov’è ? Dove stanno le occasioni occupazionali per i giovani ? Dove va a finire il denaro che la vedova incassa ? Lo investe nei centri commerciali sotto il nome delle società pulite ? ” A questo punto Salvatore non riusciva più a spingere oltre la sua analisi e si fermava. In effetti lui pensava bene dei megastore e dei centri commerciali e ci aveva visto lavorare anche molta gente ma non sapeva se questa conclusione della sua analisi fosse corretta . E ritornava alla constatazione occupazionale. La gente che aveva visto lavorare attraverso gli investimenti di Francesca erano tutte persone collegate , in un certo modo , a lei stessa. Persone che si erano dovute schierare dalla sua parte, come aveva fatto lui accettando l’incarico . E stare dalla parte di Francesca significava lavorare seriamente e non commettere passi falsi. Sbagliare volutamente poteva costare caro a questi giovani di belle speranze che riempivano i centri commerciali, ed anche alle loro famiglie. Era proprio questo il motivo per cui gli operai dell’Alfasud dormivano sulla linea di produzione ! Il loro padrone non esisteva e , se anche Giuseppe Luraghi o Gaetano Cortesi si fossero arrabbiati con loro , certamente le famiglie degli operai dormienti non avrebbero dovuto preoccuparsi di un bel niente ! Il buon Gaetano Cortesi aveva redatto un libro bianco sui problemi produttivi dello stabilimento di Pomigliano d’Arco. Aveva parlato di “microconflittualità e di assenteismo ” senza citare altro. Non aveva descritto il caso dell’operaio che vendeva le frattaglie all’uscita riuscendo ad anticipare sistematicamente l’uscita dei suoi colleghi. Né aveva accennato alle balle di panni americani che gli operai portavano nello stabilimento. Le acquistavano a Resina (Ercolano) per diecimila lire e rivendevano i capi a mille lire ognuno. Guadagnando molto perché , in una balla , di vestiti buoni ce n’erano magari cento o anche più. E per vendere i panni americani fermavano la catena di montaggio dell’Alfasud !... Quel politico napoletano che oggi sorride e rassicura i passanti sul suo impegno alla Regione Campania ha perso i capelli ma non il vizio di fregare la gente. Lui nella prima metà degli anni 70, da buon sindacalista della Commissione interna , fece un gran baccano pur di dimostrare che “microconflittualità ed assenteismo” derivavano dall’ambiente di lavoro che era stato progettato male. Come la linea di verniciatura che alfine dovette essere rifatta. Ma quando l’azienda decise di smontare l’ufficio dei metodisti lui non ci rispose affatto . Salvatore ripensava a quel manager che era stato responsabile dell’ufficio metodi produttivi a Pomigliano e che dopo , ai vertici della FIAT , aveva dato gran conto di se. Lavorava benissimo e se ne dovette andare ad Arese per una scelta della Direzione Generale che si stava riprendendo il cervello dello stabilimento per lasciare a Pomigliano solo il corpo pieno di ferite inguaribili e piaghe puzzolenti. L’ufficio tempi e metodi di produzione è il cervello di una fabbrica di automobili perché studia il tempo ed il modo in cui si deve realizzare ogni particolare del progetto automobile. E pertanto stabilisce il vero costo industriale del prodotto. Una fabbrica di automobili con i metodisti è autonoma e produttiva. Senza i metodisti diventa una catena di montaggio stupida , una fabbrica cacciavite , come dicono oggi. Ma Pomigliano diventò una fabbrica martello o incudine ,che rende ancora meglio il concetto , in quanto utensile meno ingegnoso del cacciavite stesso . Qualsiasi speranza che i tecnici di Napoli potessero fare scuola a Pomigliano ed imparare a produrre automobili a livello industriale tramontò ed i signori politici non dissero niente. Forse questi collegamenti erano più utili a Salvatore che la ricerca delle sue personali responsabilità. Salvatore stava riesumando il modo in cui si era concluso un sogno, il sogno di un periodo stupendo della propria vita in cui aveva imparato a costruire stabilimenti di automobili. Egli era entrato all’Alfasud con un contratto a tempo. In realtà egli non dipendeva dall’INCA (Industria Napoletana Costruzione Automobili) , vero nome dell’azienda Alfasud , bensì dalla SIPI (Società Italiana Progettazione Impianti) di Torino che aveva progettato e realizzato lo stabilimento per conto dell’Alfa Romeo di Arese. Ed era andato a lavorare nello stabilimento di Pomigliano , al fabbricato CS2 , dove c’erano insieme le progettazioni e le costruzioni e le manutenzioni. Un grosso ingegnere di Asti , l’ingegnere Piero Innocenzo Rosso, lo aveva voluto nel suo staff e da lui aveva imparato molte cose. Questo ingegnere proveniva da Togliattigrad , in Russia , dove era stato membro della delegazione FIAT inviata a sovrintendere alla costruzione dello stabilimento delle auto 124 , le “zigulì” . A Napoli aveva invece svolto le funzioni del Site Manager. L’ambiente e le cose che bollivano in pentola erano grosse ed allettanti per un giovane geometra plebeo di Napoli che finalmente era arrivato nel posto giusto. Alla corte dell’ingegner Rosso Salvatore ci trovò una nutrita schiera di progettisti , architetti e disegnatori capaci di fare tutto. Essi avevano progettato il Centro Direzionale dello stabilimento di Pomigliano ed avevano completato tutti i fabbricati industriali del complesso. Quando , per l’errore del responsabile di una ditta di montaggio napoletana , un fabbricato a struttura metallica si dilatò oltremodo fino a separarsi in due parti , Salvatore stette sul posto insieme a tutti gli altri per dieci giorni e dieci notti ininterrottamente. In effetti le dilatazioni termiche in questo genere di fabbricati vanno assecondate permettendo alle differenti parti della struttura di copertura di scorrere una sull’altra. Invece l’omino, che aveva guardato i disegni senza approfondirne il contenuto , aveva fatto saldare tutte le giunzioni delle parti differenti , proprio nei punti previsti per gli scorrimenti. Sicché , quando alla struttura di copertura vennero appese le grosse tubazioni di vapore surriscaldato ,il calore stesso dilatò la struttura facendola aprire alle estremità. L’ingegner Rosso balzò su tutte le furie , buttò via la giacca e si addentrò in cantiere con i suoi uomini. C’era il rischio enorme che si potesse rompere una tubazione con il vapore. Il getto avrebbe potuto ammazzare la gente tagliandola in due parti ; infatti il vapore alla pressione di 5 atmosfere ed alla temperatura di 180° è un gas invisibile e potente come un raggio laser ! In dieci giorni e dieci notti l’equipe di specialisti riuscì a compiere il miracolo ed il fabbricato fu riparato senza alcun danno a persone o a cose. Intanto Salvatore si era guadagnato i galloni di sergente sul campo e si occupava anche della progettazione. L’ingegner Rosso partì per Rio de Janeiro e tornò con le mappe di un lotto di terreno su cui sarebbe dovuto sorgere lo stabilimento gemello dell’Alfasud in Brasile. Progettisti , geometri e disegnatori lavorarono giorno e notte per presentare il progetto in tempo ad Arese e riuscirono a realizzarne anche il plastico. Salvatore sognava , nel lontano 1972 , di trasferirsi a Rio e di fare l’amore bevendo calpiriña e mangiando granchi rossi sulla spiaggia di Copacabana. Ma il sogno suo ebbe breve durata perché quello stabilimento non fu mai costruito. E l’ingegner Rosso nel 1973 lasciò l’Alfasud insieme alla sua squadra. Per cui anche Salvatore si trovò senza lavoro. Lo stabilimento di Pomigliano d’Arco stava passando nelle mani di quelle persone che ne avrebbero fatto una fabbrica incudine. E ci riuscirono presto e con poca spesa , anzi senza spese. Chissà cos’ha ancora da ridere dai manifesti elettorali quel politico della Regione Campania che ritiene di avere ben saldo il suo elettorato ! Lui è felice di essere a cavallo ma non mi è stato mai chiaro perché questi nostri delegati al governo delle istituzioni del paese ci fanno sempre capire che loro preferiscono montare ronzini spelacchiati o muli in luogo di puledri veri. Io non dico che quell’uomo felice avrebbe mai cavalcato Varenne, ma penso possa essere legittima aspirazione quella di montare Varenne !... Ed invece no . Cavalcare Varenne avrebbe potuto significare assecondare la crescita di quei giovani tecnici cui l’industria di Stato aveva pur sempre dato una grossa occasione di lavoro e di crescita costruendo l’Alfasud. Questi tecnici avrebbero fatto scuola producendone altri. Invece di stampare manifesti con la sua effigie sorridente , oggi quel politico avrebbe potuto organizzare meeting internazionali e dialogare con coreani e giapponesi sui metodi per risolvere i problemi del mercato o per combattere la paventata automobile cinese. Ma avrebbe dovuto cominciare mettendosi contro lo scempio dei cervelli che fu fatto a Pomigliano d’Arco nel 1975 , cosa che non fece mai . Quanti tecnici sarebbero stati oggi al suo fianco per proporre l’industria delle automobili , italiana e napoletana , quale referente nei piani di sviluppo internazionali. Ma forse non ne sarebbe stato capace. Oggi quel politico felice preferisce tenersi i cinesi chiusi in casa sua , fingendo di non saperlo , e inventare una bugia riparatrice solo nel caso in cui da costoro dovesse provenirgli un qualsiasi problema “da prima pagina”. E trascurando completamente i guai di fondo che l’operosa economia cinese sta creando al nostro paese, magari lavorando di nascosto nelle fabbriche che furono finanziate dai nostri governi. Quando il capo del governo , onorevole Emilio Colombo , venne una Domenica mattina ad inaugurare il Centro Direzionale dello stabilimento Alfasud di Pomigliano d’Arco quel sindacalista della commissione interna era presente . C’era anche Salvatore. E quando l’onorevole Emilio Colombo pronunciò la ormai storica frase : “ Non siamo venuti qui ad inaugurare una cattedrale nel deserto...” tutti applaudirono convinti e creduli. Ancora oggi quelle parole turbano i sogni dei tecnici napoletani, che ci credettero. Magari il politico felice quelle parole se le sarà scordate. Ma Salvatore quelle cattedrali ce l’ha nell’anima . Nella sua anima disperata ci sono oggi collegamenti , ricordi , paure di connivenze ,sensi di colpa , fioche speranze e nessuna certezza. Per Salvatore non cominciò tutto in quella Domenica mattina ? Salvatore stava ricordando quell’evento. C’erano tutti ed in prima fila sedeva l’ingegner Rudolph Hruska, direttore dello stabilimento e progettista dell’automobile Alfasud. Costui era un grosso intenditore di automobili ed aveva collaborato perfino con la Renault e con l’Abarth tirandone fuori dei modelli di successo. Era austriaco ed aveva accettato di buon grado di guidare il progetto Alfasud in quanto ci credeva. Aveva fatto costruire un’automobile che , progettualmente , stava dieci anni davanti alla concorrenza e che costava moderatamente. Forse fu fatto fuori proprio per questo. Aveva portato un team di giovani progettisti napoletani assieme a lui in Tunisia , per un lungo periodo , nel deserto a provare e collaudare l’automobile in condizioni estreme. Cosa dovettero pensare questi giovani e fortunati tecnici napoletani in quel periodo in Tunisia ? Dovettero lavorare e pensare di essere stati fortunati. Davanti a loro si stava schiudendo un futuro ricco di esperienze e di lavoro , di incontri e di miglioramenti fino ai vertici dell’industria dell’automobile che aveva scelto da sempre Napoli come sua sede prediletta. Anche Salvatore aveva sognato insieme a quel suo caro amico , ingegnere napoletano , che guidava il coupé nel deserto. Poi non ci fu più bisogno di sognarlo ... Il deserto raggiunse Salvatore a Pomigliano d’Arco e circondò lo stabilimento dell’Alfasud stesso. Sogno e realtà si fusero nel peggiore dei modi. Il deserto dei sogni , quello che stava nell’anima , divenne un riscontro reale perché se lo trovarono fuori in casa loro. Ed i giovani ingegneri napoletani smisero di sognare e passarono a lavorare con l’ISVEIMER , istituto delegato a concedere credito agevolato all’imprenditoria del Mezzogiorno. Questo fu un grosso riconoscimento che venne dato innanzitutto agli uomini politici che rappresentavano i tecnici stessi. Politici che almeno seppero cavalcare qualche buon puledro... Molti ebbero successo perché bravi , altri perché montati da politici buoni , altri ancora perché affamati ed assetati. Salvatore stava ripensando ad uno di cui parlarono a lungo i giornali italiani. L’ingegnere che aveva raggiunto San Vittore con il cellulare... dei carabinieri. Il suo volto di arrivista e di spietato speculatore e corruttore, capace di non salutare perfino l’amico di sempre e disinteressato che andò ad accoglierlo al suo ritorno da San Vittore... si fece avanti nella sua mente come fanno gli spiriti maligni. In cerca di una reincarnazione , essi affollano la mente del medium e tentano di insidiarne i poteri extrasensoriali per essere evocati. Così faceva l’immagine di costui nella mente di Salvatore mentre lui cercava di scacciare perfino il ricordo di quel nome teutone che lo contraddistingue ancora. E ci riuscì pensando alla ragazza di cui costui era stato il primo ed indegno amore. Era stata anche una sua cara amica , ma aveva amato costui con tutta se stessa fino al momento in cui lui si laureò in ingegneria elettrotecnica. Senza alcun altro motivo lui la lasciò per sposare la figlia di personaggi del suo paese impelagati con quei politici di bassa lega che lo avrebbero poi portato all’ISVEIMER. Prima di finire in cellulare a San Vittore costui si fece “apprezzare” dall’imprenditoria del Mezzogiorno per la perizia con cui coglieva le anomalie dei finanziamenti concessi dall’Istituto. Lui si recava nelle fabbriche beneficiarie del credito e ci scovava la frode , l’inganno , l’estorsione del credito agevolato concesso dallo Stato. A quel punto scattava la legge della tangente che pretendeva personalmente , seduta stante , in moneta contante. Fece molti danni in giro e gli altri lo fecero a lui. Qualcuno gli mise perfino le mani addosso. Ma questo impegno venne premiato in parlamento con la promozione, riuscendo anche ad anticipare altri colleghi più meritevoli di lui. Il politico che cavalcava questa tigre famelica ebbe ragione di un illustre fantino cui “Mani pulite” avrebbe tolto ogni potere. Ma forse il puledro montato dall’illustre fantino ebbe paura della tigre famelica sul fotofinish ! Ed essa si spostò nell’area Centro Nord del paese. Gli sconquassi che vi seminò portarono la Guardia di Finanza nella sua villa di Capri ed il TG mostrò gli innumerevoli libretti al portatore che nascondeva sotto il letto di casa sua. Migliaia di milioni di vecchie lire frodati per consentire la frode. Poi giunse la revisione delle leggi per gli interventi nel Mezzogiorno e l’abolizione della Cassa e dell’ISVEIMER. La legge 488 ne modificò tutti i meccanismi. Ma di “parrocchie nel deserto” dell’area Cassa ce ne sono tantissime , disseminate su un territorio che dalla Sicilia arriva fino ad Ascoli Piceno. Sono stabilimenti piccoli , insediamenti industriali con bassa occupazione , quasi un artigianato industrializzato. La SPARTAK era una delle poche aziende , finanziate dalla Cassa , che funzionava bene. Dall’area industriale di Teverola mandava in giro per il mondo mobili in legno di arte povera scomposti in piccoli pacchi facilmente trasportabili. Era costata 1200 milioni delle vecchie lire e , con l’apporto della quota a fondo perduto di circa il 50 % , era scesa a circa 600 milioni. Ma con gli interessi del leasing fatto dalla F.A.ME. era tornata a costare 1200 milioni. L’imprenditore della SPARTAK aveva scontato più di 1000 milioni quando giunse l’abolizione della Cassa e la F.A.ME. stessa sparì. Costui ebbe dei seri problemi per mettersi in contatto con il suo interlocutore. Gli ingegneri della F.A.ME. si erano dileguati e Pecorini era tornato a vendere i cavalli usati. Dopo qualche pausa l’imprenditore ebbe problemi personali. Un ictus piuttosto grave gli aveva paralizzato quasi tutto il corpo ; la sua attività si era fermata e lui non riusciva a tenere le maestranze. Due operai gli fecero istanza di fallimento per venti milioni di vecchie lire. Anche la SPARTAK rimase paralizzata e venne chiusa. Dinanzi alla recinzione cominciarono a crescere le erbacce. Per qualche anno non accadde più niente . Poi la F.A.ME. venne rilevata da un gruppo bancario che prese ben presto a lavorare. Lo stabilimento non era stato mai riscattato dall’imprenditore e quindi ,essendo ancora proprietà della F.A.ME., non era stato incluso nel fallimento . LA nuova proprietaria della F.A.ME. non tenne in conto il miliardo scontato. Poiché con il leasing si noleggia il bene che si acquista con il riscatto finale ,il gruppo bancario si ritenne ancora proprietario e , in mancanza del riscatto , non poté tenere conto delle rate già corrisposte. E con esse anche del finanziamento a fondo perduto che era stato concesso dallo Stato a questo imprenditore del Mezzogiorno. Insomma esso ora andava a beneficio del gruppo bancario. Salvatore ripensava a tutto ciò e gli pareva una grossa ingiustizia. D’altronde , se anche l’imprenditore stesso si fosse preoccupato di riscattare ora l’immobile , esso sarebbe finito tra le mani della curatela fallimentare. E non si poteva farlo riscattare da nessun altro . Ecco come , nell’incastro di un mosaico perfetto , leggi ed uomini di potere stavano facendo scempio di quanto altri uomini avevano voluto creare per assistere lo sviluppo nella nostra terra. E lo scempio si stava perpetrando ai danni di una fabbrica che funzionava bene , ma che si era bloccata per l’ictus voluto da Dio. Nella mente di Salvatore tornava il confronto tra la fabbrica di ruote di Francesca e la SPARTAK. Tutto bene per una fabbrica senza acqua ed energia elettrica che era riuscita a produrre solo per poco tempo ed ora faceva produrre ai nemici dell’economia del nostro paese. Tutto male per la SPARTAK che aveva prodotto seriamente e dato occupazione per molti anni . Durante un giro per l’area industriale di Teverola Salvatore si fermò dinanzi alla SPARTAK e dovette aprirsi un varco tra le erbacce per rimirare il bel prospetto di questo gioiellino architettonico creato dal suo ex-socio, l’ingegnere di Mezzocannone. Si intrattenne con una guardia giurata da cui seppe che lo stabilimento era abbandonato da alcuni anni. L’area industriale di Teverola era cambiata molto ; oggi si poteva anche chiamare area commerciale ... Molti stabilimenti facevano bella mostra di insegne pubblicitarie che invitavano a “comprare in fabbrica” i loro prodotti. I nuovi tempi avevano contagiato gli imprenditori e li avevano fatti diventare commercianti. Una grossa botte in muratura troneggiava all’ingresso di un lotto invitando ad entrare per provare e degustare vini tipici. La vecchia considerazione che Salvatore aveva fatto sulla vocazione nuova dei megastore e dei centri commerciali tornava d’attualità. Ma anche a Teverola Salvatore scorgeva qualche “parrocchia nel deserto” ... Con l’automezzo Salvatore faceva il giro di manutenzione tra le proprietà della vedova e si muoveva in ambiti piuttosto estesi. Qualche ora dopo si trovava a S. Nicola la Strada (CE) e passò dinanzi ad un altro capolavoro dell’ingegno degli uomini potenti. Questo capolavoro non era una parrocchia o , per lo meno , Salvatore non ne aveva potuto appurare l’estorsione in danno alla Cassa. Però c’era stato di peggio. Stavolta si trattava di attentati alla vita umana. In questo complesso metalmeccanico si producevano lamierati per l’industria automobilistica ; piccole parti di lamiera che si commissionano a terzi per velocizzare la produzione. Il complesso era di una società dal nome sconosciuto di cui Salvatore ignorava provenienza ed appartenenza. All’interno Salvatore ci aveva installato le macchine. Vecchie presse , in uso da decenni altrove , erano state trasferite in questo capannone per esalare l’ultimo respiro tra le braccia del popolo napoletano ! Ed infatti furono proprio le pietose braccia del popolo napoletano ad essere sacrificate su questi altari di vecchia ghisa tinteggiati alla meglio per mascherarne l’età . Gli incidenti non si contarono. Ispettorato del lavoro ed autorità giudiziaria ,ebbero il loro bel da fare a cercare le cause degli incidenti ! Salvatore non riusciva a credere quali indagini si dovessero fare per mettere in chiaro una circostanza palese : la vetustà , nel senso della inadeguatezza , delle macchine. La figlia di un burocrate del paese si occupava di prevenzione degli infortuni ed ebbe un bel da fare , con l’aiuto di suo padre, a mascherare gli incidenti sotto una luce diversa. Le presse furono sequestrate e dissequestrate una per volta ; vennero periziate ed adeguate , controllate e registrate ma continuarono a pretendere il sangue umano oltre all’energia elettrica ed all’aria compressa per funzionare . Lo stabilimento non venne mai chiuso ed ancora oggi era in funzione. Salvatore fece un sorriso amaro e procedette oltre . Un megastore in franchising lo inghiottì nel suo enorme parcheggio per il rito della manutenzione. Questi pensieri lo stavano turbando abbastanza . Ormai da qualche tempo egli si era sistemato nella manutenzione dei beni ed avrebbe dovuto sentirsene soddisfatto. Ma come avrebbe potuto continuare ogni giorno , di tutto il resto dei suoi giorni , ad occuparsi di queste cose solo per denaro ? In effetti il denaro gli occorreva , come serve a tutti quelli che si alzano ogni mattina , ma nel lavoro Salvatore ci aveva cercato sempre qualcosa di più . In questi suoi ritorni al passato lui ci aveva trovato amarezze e delusioni ma le delusioni sono pur sempre la negazione delle illusioni. Delusioni ed illusioni sono della stessa famiglia . La delusione nasce nell’anima di chi si aspettava qualcosa che poi non arriva. Il denaro arriva molto spesso , ma l’oggetto di una illusione può facilmente rimanere disatteso . Se però ti dicono che puoi lavorare e non ti devi aspettare nessuna crescita , e se intanto il lavoro stesso non ti gratifica per quello che è ,allora vuol dire che non potrai essere mai deluso perché a-priori ti hanno tolto ogni illusione... Ed a Salvatore stava succedendo proprio questo. La sua soddisfazione era stata realizzata per gradi. Con questo nuovo lavoro aveva provveduto a sistemare le sue entrate , ad occupare il suo tempo ; ma ora pian piano Salvatore stava passando a tener conto del suo spirito. Gli dava fastidio di contribuire a mandare avanti l’azienda di Francesca così come facevano gli addetti dei centri commerciali... solo in cambio della paga e rispettosi dello schieramento scelto. Gli facevano eco certi concetti che Francesca una mattina gli aveva esposto con molta chiarezza. “ Ci guardiamo le spalle , caro Salvatore , da amici e da nemici. Io preferisco i nemici . Sono più semplici da controllare. Gli amici mi hanno fatto sempre paura. Una mattina seppi che un geometra ci stava facendo le scarpe. Avevamo trattato a lungo per aprire un ipermercato nella sua zona. Lui era uno dei nostri e ci avrebbe dovuto dare una mano. Stava in politica ed all’ufficio tecnico del Comune e poteva muovere bene le carte. Ma i problemi nelle sue mani divenivano sempre più grandi. Fingemmo di spostare i nostri interessi altrove. L’ipermercato si realizzò in poco tempo. Lui aveva intascato la tangente senza dire niente a nessuno ed aveva dato la Concessione edilizia a nostra insaputa. Ma noi lo venimmo a sapere lo stesso... Volevamo disobbligarci con lui e gli mandammo un amico con una torta. Una domenica mattina suo figlio aprì la porta e non volle accettare il regalo. L’amico si offese e venne a diverbio con il giovane. Intervenne anche suo padre. Ma , durante la discussione , all’amico saltarono le cervella ed infilò una mano nella torta. La pistola che ci avevamo nascosto per una sorpresa purtroppo era carica e partì un colpo che ammazzò il geometra. Ne rimanemmo molto dispiaciuti e facemmo le condoglianze alla famiglia. Il ragazzo divenne adulto ed ora fa il politico come suo padre. Ma gira alla larga dai nostri interessi e preferisce fare lo smargiasso con le istituzioni. Per il suo paese non fa niente , ma accaparra incarichi ed appalti per i suoi amici. L’importante è che stia lontano da noi.” Salvatore scosse la testa. “ E’ un caso che facesse il geometra anche lui ? ” chiese. “ Si è un caso. ” gli rispose la vedova. E , dopo una piccola pausa , aggiunse : “ Ma potrebbe anche non esserlo. Prendilo come un avvertimento. Vale anche per te. Non ti far venire nessun pensiero. Con me non ti conviene sbagliare. Se il lavoro non ti soddisfa vieni da me e parliamone. Ma se pensi di fare di testa tua potresti metterti contro di me ed io non te lo perdonerei mai. Pensaci bene.
cmq cassaintegrati o no, poveri o ricchi, con lavoro o senza lavoro, credo che nell'articolo che segue ci sia la vera risposta al fallimento non solo di Termini o Pomigliano, ma di tutto il piano di FIAT.............purtroppo e per una sacrale, logica e indiscutibile legge dei numeri. Unica sola legge che io conosca in grado di darmi la visione reale della fattibilità di un piano oppure no.
Leggete se avete voglia:
L'alternativa a Marchionne
16/06/2010
di Guido Viale (ilManifesto.it)
Non c'è alternativa. Questa sentenza apodittica di Margaret Thatcher per la quale è stato creato anche un acronimo (Tina: there is no alternative) è la silloge del cosiddetto «pensiero unico» che nel corso dell'ultimo trentennio ha accompagnato le dottrine più o meno «scientifiche» da cui sono state orientate, o con cui sono state giustificate, le scelte di volta in volta dettate dai detentori del potere economico: prima liberismo (a parole, con grande dispendio di diagrammi e formule matematiche, ma senza mai rinunciare agli aiuti di stato e alle pratiche monopolistiche); poi dirigismo e capitalismo di stato (per salvare banche, assicurazione e giganti dell'industria dai piedi d'argilla dal precipizio della crisi); per passare ora a un vero e proprio saccheggio, usando come fossero bancomat salari, pensioni, servizi sociali e «beni comuni», per saldare i debiti degli Stati messi in crisi dalle banche appena salvate. Così la ricetta che non contempla alternative oggi è libertà dell'impresa; che va messa al di sopra di sicurezza, libertà e dignità, ovviamente dei lavoratori, inopportunamente tutelate dall'art. 41 della Costituzione italiana. A enunciarlo in forma programmatica è stato Berlusconi, subito ripreso dal ministro Tremonti e, a seguire, dall'autorità sulla concorrenza, che non ha mai mosso dito contro un monopolio. A tradurre in pratica quella ricetta attraverso un aut aut senza condizioni, subito salutato dagli applausi degli imprenditori giovani e meno giovani di Santa Margherita Ligure, è stato l'amministratore delegato della Fiat, il Valletta redivivo del nuovo secolo. Eccola. Limitazione drastica (e anticostituzionale, ma per questi signori la Costituzione va azzerata; e in fretta!) del diritto di sciopero e di quello di ammalarsi. Una organizzazione del lavoro che sostituisce l'esattezza cronometrica del computer alla scienza approssimativa dei cronometristi (quelli che un tempo alla Fiat si chiamavano i «vaselina», perché si nascondevano dietro le colonne per spiare gli operai e tagliargli subito i tempi se solo acceleravano un poco per ricavarsi una piccola pausa per respirare). Una turnazione che azzera la vita familiare, subito sottoscritta da quei sindacalisti e ministri che due anni fa erano scesi in piazza per «difendere la famiglia»: la loro, o le loro, ovviamente. È un ricatto; ma non c'è alternativa. Gli operai non lo possono rifiutare e non lo rifiuteranno, anche se la Fiom, giustamente, non lo sottoscrive. L'alternativa è il licenziamento dei cinquemila dell'Alfasud - il «piano B» di Marchionne - e di altri diecimila lavoratori dell'indotto, in un territorio in cui l'unica vera alternativa al lavoro che non c'è è l'affiliazione alla camorra. Per anni, a ripeterci «non c'è alternativa» sono stati banchieri centrali, politici di destra e sinistra, sindacalisti paragovernativi, professori universitari e soprattutto bancarottieri. Adesso, forse per la prima volta, a confermarlo con un referendum, sono chiamati i lavoratori stessi che di questo sopruso sono le vittime designate. Ecco la democrazia del pensiero unico: votate pure, tanto non c'è niente da scegliere. Effettivamente, al piano Marchionne non c'è alternativa. Nessuno ci ha pensato; neanche quando il piano non era ancora stato reso pubblico. Nessuno ha lavorato per prepararla, anche quando la crisi dell'auto l'aveva ormai resa impellente. Nessuno ha mai pensato che sarebbe stato necessario averne una, anche se era chiaro da anni che prima o poi - più prima che poi - la campana sarebbe suonata: non solo per Termini Imerese, ma anche per Pomigliano. Ma a che cosa non c'è alternativa? Al «piano A» di Marchionne. Un piano a cui solo se si è in malafede o dementi si può dar credito. Prevede che nel giro di quattro anni Fiat e Chrysler producano - e vendano - sei milioni di auto all'anno: 2,2 Chrysler, 3,8 Fiat, Alfa e Lancia: un raddoppio della produzione. In Italia, 1,4 milioni: più del doppio di oggi. La metà da esportare in Europa: in un mercato che già prima della crisi aveva un eccesso di capacità del 30-35 per cento; che dopo la sbornia degli incentivi alla rottamazione, è già crollato del 15 per cento (ma quello della Fiat del 30); e che si avvia verso un periodo di lunga e intensa deflazione. Quello che Marchionne esige dagli operai, con il loro consenso, lo vuole subito. Ma quello che promette, al governo, ai sindacati, all'«opinione pubblica» e al paese, è invece subordinato alla «ripresa» del mercato, cioè alla condizione che in Europa tornino a vendersi sedici milioni di auto all'anno. Come dire: «il piano A» non si farà mai. Non è una novità. Negli ultimi dieci anni, per non risalire più indietro nel tempo, di piani industriali la Fiat ne ha già sfornati sette; ogni volta indicando il numero di modelli, di veicoli, l'entità degli investimenti e la riduzione di manodopera previsti. Tranne l'ultimo punto, che era la vera posta in palio, degli obiettivi indicati non ne ha realizzato, ma neanche perseguito, nemmeno uno. Ma è un andazzo generale: se i programmi di rilancio enunciati da tutte le case automobilistiche europee andassero in porto (non è solo la Fiat a voler crescere come un ranocchio per non scomparire) nel giro di un quinquennio si dovrebbero produrre e vendere in Europa 30 milioni di auto all'anno: il doppio delle vendite pre-crisi. Un'autentica follia. Dunque il «piano A» non è un piano e non si farà. L'alternativa in realtà c'è, ed è il «piano B». Se a chiudere non sarà Pomigliano, perché Marchionne riuscirà a farsi finanziare da banche e governo (che agli «errori» delle banche può sempre porre rimedio: con il denaro dei contribuenti) i 700 milioni di investimenti ipotizzati e a far funzionare l'impianto - cosa tutt'altro che scontata - a cadere sarà qualche altro stabilimento italiano: Cassino o Mirafiori. O, più probabilmente, tutti e tre. La spiegazione è già pronta: il mercato europeo non «tirerà» come si era previsto Hai voglia! Il mercato europeo dell'auto è in irreversibile contrazione; l'auto è un prodotto obsoleto che nei paesi ad alta intensità automobilistica non può che perdere colpi: «tirano», per ora, solo i paesi emergenti - fino a che il disastro ambientale, peraltro imminente, non li farà recedere anch'essi - ma le vetture che si vendono là non sono certo quelle che si producono qui: né in Italia né in Polonia. Anche se la cosa non inciderà sulle scelte dei prossimi mesi, è ora di dimostrare che non è vero che non c'è alternativa. L'alternativa è la conversione ambientale del sistema produttivo - e dei nostri consumi - a partire dagli stabilimenti in crisi e dalle fabbriche di prodotti obsoleti o nocivi, tra i quali l'automobile occupa il secondo posto, dopo gli armamenti. I settori in cui progettare, creare opportunità e investire non mancano: dalle fonti di energia rinnovabili all'efficienza energetica, dalla mobilità sostenibile all'agricoltura a chimica e chilometri zero, dal riassetto del territorio all'edilizia ecologica. Tutti settori che hanno un futuro certo, perché il petrolio costerà sempre più caro - e persino le emissioni a un certo punto verranno tassate - mentre le fonti rinnovabili costeranno sempre meno e l'inevitabile perdita di potenza di questa transizione dovrà essere compensata dall'efficienza nell'uso dell'energia. L'industria meccanica - come quella degli armamenti - può essere facilmente convertita alla produzione di pale e turbine eoliche e marine, di pannelli solari, di impianti di cogenerazione. Poi ci sono autobus, treni, tram e veicoli condivisi con cui sostituire le troppe auto, assetti idrogeologici da salvare invece di costruire nuove strade, case e città da riedificare - densificando l'abitato - dalle fondamenta. Ma chi finanzierà tutto ciò? Se solo alle fonti rinnovabili fosse stato destinato il miliardo di euro che il governo italiano (peraltro uno dei più parsimoniosi in proposito) ha gettato nel pozzo senza fondo delle rottamazioni, ci saremmo probabilmente risparmiati i due o tre miliardi di penali che l'Italia dovrà pagare per aver mancato gli obiettivi di Kyoto. Ma anche senza incentivi, le fonti rinnovabili si sosterranno presto da sole e i flussi finanziari oggi instradati a cementare il suolo, a rendere irrespirabile l'aria delle città, impraticabili le strade e le piazze, a riempirci di veleni per rendere sempre più sterili i suoli agricoli, a sostenere un'industria delle costruzioni che vive di olimpiadi, expo, G8, ponti fasulli e montagne sventrate potranno utilmente essere indirizzati in altre direzioni. È ora di metterci tutti a fare i conti! Ma chi potrà fare tutte queste cose? Non certo il governo. Né questo né - eventualmente - uno di quelli che abbiamo conosciuto in passato; e meno che mai la casta politica di qualsiasi parte. Continuano a riempirsi la bocca con la parola crescita e stanno riportandoci all'età della pietra. La conversione ecologica si costruisce dal basso «sul territorio»: fabbrica per fabbrica, campo per campo, quartiere per quartiere, città per città. Chi ha detto che la programmazione debba essere appannaggio di un organismo statuale centralizzato e non il prodotto di mille iniziative dal basso? Chiamando per cominciare a confrontarsi in un rinnovato «spazio pubblico», senza settarismi e preclusioni, tutti coloro che nell'attuale situazione non hanno avvenire: gli operai delle fabbriche in crisi, i giovani senza lavoro, i comitati di cittadini in lotta contro gli scempi ambientali, le organizzazioni di chi sta già provando a imboccare strade alternative: dai gruppi di acquisto ai distretti di economia solidali. E poi brandelli di amministrazioni locali, di organizzazioni sindacali, di associazioni professionali e culturali, di imprenditoria ormai ridotta alla canna del gas (non ci sono solo i «giovani imprenditori» di Santa Margherita); e nuove leve disposte a intraprendere, e a confrontarsi con il mercato, in una prospettiva sociale e non solo di rapina. Il tessuto sociale di oggi non è fatto di plebi ignoranti, ma è saturo di intelligenza, di competenze, di interessi, di saperi formali e informali, di inventiva che l'attuale sistema economico non sa e non vuole mettere a frutto. Certo, all'inizio si può solo discutere e cominciare a progettare. Gli strumenti operativi, i capitali, l'organizzazione sono in mano di altri. Ma se non si comincia a dire, e a saper dire, che cosa si vuole, e in che modo e con chi si intende procedere, chi promuoverà mai le riconversioni produttive?
Fiat: Sacconi, Fiom non sembra sindacato ma organizzazione politica Altre notizie correlate: Fiat
(ANSA) - ROMA, 20 GIU - 'Sono molto preoccupato circa le possibili decisioni di Fiat'. Lo ha detto il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. A 'In mezz'ora' su Rai3 replicando alla domanda su come potrebbe incidere l'esito del referendum sulle decisioni dell'azienda per Pomigliano, Sacconi ha detto: il governo fara' in modo che aderisca a quell'ipotesi di investimento'. 'Se questa vicenda dovesse concludersi negativamente - ha aggiunto - la responsabilita' assunta dalla Fiom e' straordinaria'.
Fiat: Brunetta, sinistra a Pomigliano sta dalla parte dei fannulloni (ANSA) - ROMA, 20 GIU - La Fiom e' 'ossessivamente conflittuale'. Il ministro Brunetta boccia i metalmeccanici Cgil in vista del referendum di martedi' a Pomigliano. 'Si gioca una partita che va al di la' di Pomigliano', afferma Brunetta che accusa la Fiom e in parte la Cgil, che vede sempre e comunque il conflitto fra capitale e lavoro, a prescindere dal contesto storico e dai contenuti. Per quanto riguarda il referendum, Brunetta chiama il Sud 'migliore, che chiede lavoro ed e' ancora vivo' a 'battere un colpo'.
io son certo che migliaia di lavoratori han voglia e bisogno di lavorare e voteranno per il si! In bocca al lupo per tutto!
Referendum di Pomigliano, alta l'affluenza. «Al voto il 95%» Quasi 4 mila lavoratori si sono già presentati alle urne. Tensione e accuse all'esterno dello stabilimento Marcegaglia: «Serve responsabilità». Bersani: «Se vince il sì la fiat mantenga gli impegni»
MILANO - Sono quasi 4 mila i lavoratori di Pomigliano d'Arco (sul totale di circa 5.100) che alle 18 hanno votato al referendum sull'accordo relativo al futuro dello stabilimento campano della Fiat. Lo riferisce Giovanni Sgambati, segretario della Uilm Campania che sta monitorando costantemente l'andamamento. «Se si va avanti così - prevede - si va verso una adesione finale del 94-95%. Un risultato altissimo, al di sopra di ogni aspettativa, una partecipazione - osserva il sindacalista raggiunto telefonicamente - che ci soddisfa molto: auspichiamo che ci sia anche un largo consenso». I seggi restano aperti fino alle 21, dopo inizierà lo spoglio: l'esito è atteso verso le 23.
IL REFERENDUM - I lavoratori sono chiamati a esprimersi sull'accordo separato tra azienda e sindacati: una scelta che potrebbe essere decisiva per il destino dello stabilimento, dei 700 milioni di investimenti per portare la produzione della Panda dalla Polonia a Pomigliano e, dunque, per il futuro lavorativo degli oltre 5mila Fiat e dei 15mila impiegati nell'indotto. L'intesa è stata siglata da Fim Cisl, Uilm Uil, Fismic e Ugl, mentre la Fiom Cgil non ha firmato contestando gli interventi che interferiscono con norme del contratto nazionale o della legislazione (assenteismo e vincoli al diritto di sciopero).
LA GIORNATA - Alle otto sono partite le votazioni che dureranno fino alle 21; di seguito inizierà lo spoglio. È nella sala dove si pagano gli stipendi che gli operai possono esprimersi: niente cassa integrazione, almeno per oggi, proprio per consentire a tutti le votazioni. Il quesito, al quale i lavoratori devono rispondere con una croce sul 'Sì' o sul 'No', è: «Sei favorevole all'ipotesi d'accordo del 15 giugno 2010 sul progetto 'Futura Panda' a Pomigliano?». Dieci urne sono dentro la fabbrica; un'altra è nello stabilimento di Nola, dove c'è il polo della logistica.
ACCUSE - Una giornata decisiva, per lo stabilimento Fiat. Quasi inevitabili i segnali di tensione e nervosismo all'esterno. Accuse reciproche vengono rivolte da una parte all'altra, perfino per interviste rilasciate alle tv. E così capita che il delegato provinciale della Fim, Michele Liberti, sindacato che ha firmato l'intesa, punti l'indice contro un esponente del Cobas («mi hai rivolto accuse pesanti, inaccettabili») e, viceversa, il Cobas - rappresentato da Mimmo Mignano, ex operaio Fiat poi reintegrato - replichi «siete dei venduti». Parole grosse davanti allo stabilimento, il tutto mentre gli operai continuano a dire:«All'interno dello stabilimento i lavoratori sono sereni».
I COMMENTI - Sulla vicenda interviene intanto Emma Marcegaglia. «L'impressione è che i lavoratori mostreranno il senso di responsabilità che serve» - afferma il presidente di Confindustria da Bruxelles - e capiranno che in un'area delicata come quella di Pomigliano dire 'no' a un investimento di 700 milioni e al ritorno della produzione dalla Polonia sarebbe problematico. Sarebbe un segnale negativo per la capacità di attrarre investimenti nel nostro Paese». Secondo lo Slai-Cobas il referendum non finirà con «un plebiscito del sì». Vittorio Granillo, della dirigenza del sindacato, ha infatti affermato che il «60% dei lavoratori voterà sì mentre il 40% dirà no all’accordo». Una percentuale che «creerà un problema serio dal momento che non ci sarà l'80-85% auspicato da Marchionne». «Se vince il sì - commenta invece il segretario del Pd, Pierluigi Bersani - la Fiat mantenga l'impegno preso con i lavoratori: il loro sì sarebbe un sì alla Fiat». Bersani spiega che il referendum «è un passaggio molto delicato. Ora ci si deve riferire a quello, ma se i lavoratori sono andati a votare, il loro sarebbe un sì alla Fiat, per cui voglio credere che anche la Fiat darà seguito all'accordo e non seguirà altre ipotesi di cui si legge in queste ore».
Commenti
anche io ho frequentato dei corsi regionali per 6 mesi avendo una retribuzione di 240 euro al mese ed ora che che ho presentato il 730 ho dovuta restituire 300 euro questo e il nostro governo [/quote]
ma qui e' diverso: chi e' in cassa e' obbligato a frequentare questi corsi, e possono avere svariati indirizzi.Appena messo in cassa,l'ufficio per il lavoro ti contatta e ti fa' crocettare tutto quello che ti piacerebbe fare , questi corsi durano all'incirca 2 mesi e mezzo non sono retribuiti e se non li fai non hai diritto ai soldi della cassa. E' vero,che hai pagato di piu' nel tuo 730, ma tu hai avuto la possibilita' di ricevere 240 euro al mese in piu', qua' questo non c'e' tranne se sei disoccupato.
Nello stabilimento campano boom di certificati medici durante gli scioperi. Cgil non firma l'accordo proposto dal Lingotto. Il 22 referendum tra i lavoratori.
L’Italia è uno strano posto che mischia tratti di efficienza, genio e avanguardia ad aspetti di assoluta irresponsabilità e menefreghismo. Qualcuno potrebbe azzardare che in fondo questo rende lo Stivale affascinante, ma la realtà è diversa dalle visioni arcadiche del pittoresco e la vicenda della fabbrica Fiat di Pomigliano d’Arco è la plastica rappresentazione del meglio e del peggio. Il meglio per chi alla fine ha siglato l’accordo (Cisl e Uil), il peggio per gli archeosindacalisti della Fiom che ha rovesciato il tavolo. Pomigliano non ha fabbricato solo automobili, ma anche assenteisti, furbetti vittime di improvvise epidemie di massa, frotte di tute blu che diventano rappresentanti di lista. Diritti trasformati in abusi. Un capo azienda ne uscirebbe pazzo.
Non conosco Sergio Marchionne e a volte le sue ruvidezze non mi convincono, ma bisogna dire che questo signore venuto dalla Svizzera ha una visione industriale, ha dato una scossa al mondo dell’auto e salvato la Fiat rendendola meno italiana, più americana ma soprattutto di nuovo capace di produrre belle automobili. Qui non è il caso di rifare la storia della casa di Torino e so benissimo che di errori in Corso Marconi ne sono stati fatti tanti. Anche a spese del contribuente. La Fiat ha avuto per decenni una sorta di funzione di ammortizzatore sociale. Oggi non è più possibile.
Il mondo si è allargato, ma il mercato si è ristretto e la concorrenza s’è fatta durissima, i costruttori di automobili che resteranno in campo forse si conteranno sulle dita di una mano e l’Italia - per tradizione e conoscenza - nel campo dei motori può dire ancora la sua. A patto che tutti - il sindacato, i lavoratori e il governo - mettano da parte le ipocrisie, i minuetti, i calcoli da retrobottega e guardino la realtà dei fatti. Termini Imerese è una fornace dove i costi di produzione sono insostenibili, Pomigliano d’Arco deve diventare una fabbrica moderna ed efficiente. Chi dice no, chiude la porta al futuro. Ma non potrà riaprire il portoncino del passato.
Operai al diavolo, la Cgil balla da sola
A ogni elezione migliaia di assenti.
Certificati medici quando è sciopero.
In media, ogni tornata elettorale, i dipendenti sono stati assenti per 3 giorni con un costo per l'azienda di 450 euro ciascuno.
Permessi per fare i rappresentanti di lista, gli scrutatori o i presidenti di seggio alle Politiche, alle Comunali, ai Referendum. Poi le malattie: sulla carta vere epidemie scoppiate, casualmente, nei giorni di sciopero. Sono migliaia i casi anomali di assenteismo registrati nello stabilimento Fiat di Pomigliano e in quelli di Melfi e Foggia. Ora una parte di lavoratori critica l'accordo proposto dal Lingotto che prevede, tra le varie clausole, di non pagare i giorni di malattia se coincidenti con manifestazioni sindacali o elettorali. Ma i conti non tornano. A Pomigliano il 9 aprile 2004, quando fu proclamato uno sciopero contro i ritmi di lavoro, risultavano malati 861 dipendenti mentre il 16 novembre 2007, sciopero per il rinnovo del contratto, 471 lavoratori hanno presentato il certificato medico. Ma il vero nemico della produttività di Pomigliano sono le elezioni. Ad aprile 2005, durante le consultazioni regionali, sono stati registrati 1.494 permessi elettorali (il 36,4% dell'organico), ad aprile 2006, con le elezioni politiche, hanno chiesto un permesso 1.725 dipendenti; a maggio 2006, per le Comunali, i permessi elettorali sono stati 425. Stessa musica a giugno 2006 (elezioni comunali e referendum): 1.696 permessi elettorali e ad aprile 2008 (elezioni politiche) 1.518 permessi.
In media, ogni tornata elettorale, i dipendenti interessati sono stati assenti per tre giorni con un costo per l'azienda di 450 euro ciascuno. Ma non è tutto. Un assenteismo anomalo si è registrato anche a Melfi. Il 28 e 29 marzo 2010, con le elezioni amministrative, sono stati presentati 3.085 certificati elettorali: 20 per presidenti di seggio, 36 per scrutatori. Gli altri 3.029 tutti rappresentanti di lista. Allo stabilimento di Foggia ad aprile 2008 i permessi elettorali hanno riguardato 614 lavoratori, a giugno 2005, durante i referendum, sono stati 630, un mese prima, per le elezioni regionali, i certificati sono stati 889. Assenze strane ma sempre a spese dell'azienda. Protesta la Fismic, che se la prende con la Cgil: «Se la Fiom intende fare una battaglia a tutela del diritto di sciopero per andare a vedere le partite di calcio, se la Fiom crede che sia giusto che il 60% dei lavoratori partecipi al seggio elettorale, se la Fiom crede che sia giusto farsi dare la malattia da medici compiacenti quando c'è uno sciopero contrattuale faccia pure. A noi tutto questo pare anacronistico, il sindacato non è mai stato per la difesa dei privilegi e delle furberie».
che dire, mettetevi daccordo o querelati giornalisti che scrivono falsità!
[quote]leader:
per ciuppi io sono uno dei cassintegrati che peroì non vanno al mare dal lunedi al giovedi bensi sono uno di quelli che pensano di arrivare alla fine del mese con 800 euro al mese enon perdere tutto quello che ho costruito negli anni [/quote]
per leader;):io invece ho un marito cassaintegrato al nord,non x la fiat fortunatamente ma metalmeccanico, che percepisce 750 euro al mese,e manco noi andiamo al mare dal lunedi' al venerdi' anche xche' come ho scritto sopra in piemonte non e' possibile se vuoi prendere i soldi,non so se anche in altre regioni siete costretti a frequentare corsi e agenzie interinali. [/quote]
fate attenzione ho parlato di cassa integrati mantenuti dalla madre o dalla famiglia.
Lo capisco che per chi invece la famiglia la deve mantenere è diverso.
Del resto anche nell'oasi dove vivo, alcuni cassa integrati hanno messo in vendita il camper e leggo sempre più spesso cartelli vendesi nei piazzali!
Una storia napoletana parte 2/b
- Cattedrali nel deserto -
di Gianni Di Nicola – parte 2/b Copyrigth 2006
..
Gli dettò un indirizzo e gli chiese di andare subito sul posto.
Salvatore di buon mattino si infilò nell’Opel Agila e tornò sul litorale flegreo.
Girò un poco per trovare questo posto perché non conosceva il nome della strada.
Ma non appena gli diedero la spiegazione giusta capì dove si stava avviando.
Proseguì a memoria e fermò l’Opel Agila davanti alla fabbrica di ruote .
Trovò il cancello pedonale aperto ed entrò senza bussare.
Giunto davanti ad una porta d’emergenza si accorse che era accostata ; spinse ed entrò nel grande reparto produttivo.
Salvatore aveva ritenuto a torto che la fabbrica fosse deserta.
Ora davanti ai suoi occhi lavoravano decine e decine di persone. Perfino i bambini facevano finta di lavorare e qualche vecchio li intratteneva .
Nessuno si preoccupò di Salvatore, perché nessuno aveva intenzione di lasciare , nemmeno per un istante , il lavoro.
Questi solerti lavoratori però non erano napoletani soggiogati dal carisma della vedova ; erano ospiti del nostro paese e figli del Sol levante. Erano cinesi.
Uno di essi fermò la macchina da cucire a pedale e giunse rapidamente da Salvatore.
Lo condusse dinanzi ad un rubinetto e gli mostrò che non c’era acqua ; poi spinse la leva di un interruttore e gli fece capire che non c’era nemmeno energia elettrica.
Salvatore gli fece un cenno d’intesa ed uscì fuori all’aperto.
Stava quasi andando a rimettere in funzione le leve nel pozzetto e nel quadro quando ebbe un attimo di esitazione e si allontanò rapidamente con l’Opel Agila.
Tornò qualche ora dopo in abiti da lavoro ed un ragazzo , forse uno dei suoi figli , che gli reggeva la cassetta degli attrezzi.
Si fece dare uno scaletto ed andò in giro per la fabbrica ad aprire quadri , quadretti , tombini , chiavi.
Fece tornare l’acqua , poi la fece andar via di nuovo , poi fece altrettanto con la luce e poi alla fine chiamò il cinese.
In una lingua improbabile fatta di gesti e suoni simili a quelli che lui riteneva fossero parole cinesi , Salvatore gli spiegò che aveva riparato provvisoriamente il guasto e che potevano riprendere a lavorare.
Il giorno dopo lui sarebbe tornato con i mezzi necessari ed avrebbe fatto delle saldature riparando il guasto in maniera definitiva.
Il cinese gli restituì ampi gesti di ringraziamento che andavano dal sorriso alla stretta di mano e finivano con l’inchino.
Salvatore gli disse di parlarne con la proprietaria ed il cinese annuì.
Poi , per essere più chiaro ,ne pronunciò il nome : “ La vedova “.
Il cinese fece un nuovo inchino.
Salvatore gli fece un cenno affermativo con la testa ed andò via.
In effetti Salvatore aveva dovuto riaprire soltanto le doppie chiavi , da lui nascoste nel pozzetto tanti anni prima .
Il resto del suo lavoro era stato costituito da una vera e propria finzione , voluta dai fatti e dal suo bisogno di denaro.
Il denaro che gli offrì Francesca era interessante per lui ; ma ancor più lo era la proposta che lei gli fece subito dopo.
Salvatore si sarebbe dovuto occupare in prima persona della manutenzione di tutte le proprietà della vedova.
Aveva cominciato con la fabbrica di ruote e doveva continuare con tutte le altre fabbriche che lei aveva.
C’erano i megastore e poi c’erano gli appartamenti , gli alberghi, le Sale Bingo e le Sale di scommesse ed i parcheggi e le multisale cinematografiche e perfino le cappelle nel cimitero dov’era sepolto Ciccillo.
Insomma Salvatore , da quel momento in poi , di lavoro ne avrebbe avuto abbastanza e sarebbe stato pagato bene , come una persona di fiducia.
Il tutto grazie ad una finzione non voluta , grazie al caso , grazie ai ricordi su cui Salvatore aveva indugiato...
Lui aveva ricordato il suo passato ed era andato a rimboccargli le coperte ed il suo passato era tornato da lui per restituirgli un segno tangibile della sua riconoscenza.
“ Valla a capire questa esistenza ! ” pensava Salvatore.
“ Ero con il culo per terra ed ora sono di nuovo in piedi. ”
“ Cosa debbo pensare ?
Allora feci bene a partecipare alle estorsioni alla Cassa ?
Se ora mi danno lavoro !...”
“ Oppure non cambia niente e sto solo sfruttando una occasione che mi si è presentata ?
Magari lo sto facendo perché ho saputo fare la sceneggiata con i cinesi ? Ma quella ci stava...”
“ Allora potrei anche pensare che poi la vita è tutto un caso , una occasione , e che non c’è premio e non c’è castigo.
Queste estorsioni alla Cassa pensavo avessero distrutto l’economia della città ed invece ci scopro che esse funzionano.”
“ Certo funzionano , ma in mano alla vedova e con i cinesi !
La economia della città dov’è ?
Dove stanno le occasioni occupazionali per i giovani ?
Dove va a finire il denaro che la vedova incassa ?
Lo investe nei centri commerciali sotto il nome delle società pulite ? ”
A questo punto Salvatore non riusciva più a spingere oltre la sua analisi e si fermava.
In effetti lui pensava bene dei megastore e dei centri commerciali e ci aveva visto lavorare anche molta gente ma non sapeva se questa conclusione della sua analisi fosse corretta .
E ritornava alla constatazione occupazionale.
La gente che aveva visto lavorare attraverso gli investimenti di Francesca erano tutte persone collegate , in un certo modo , a lei stessa.
Persone che si erano dovute schierare dalla sua parte, come aveva fatto lui accettando l’incarico .
E stare dalla parte di Francesca significava lavorare seriamente e non commettere passi falsi.
Sbagliare volutamente poteva costare caro a questi giovani di belle speranze che riempivano i centri commerciali, ed anche alle loro famiglie.
Era proprio questo il motivo per cui gli operai dell’Alfasud dormivano sulla linea di produzione !
Il loro padrone non esisteva e , se anche Giuseppe Luraghi o Gaetano Cortesi si fossero arrabbiati con loro , certamente le famiglie degli operai dormienti non avrebbero dovuto preoccuparsi di un bel niente !
Il buon Gaetano Cortesi aveva redatto un libro bianco sui problemi produttivi dello stabilimento di Pomigliano d’Arco.
Aveva parlato di “microconflittualità e di assenteismo ” senza citare altro.
Non aveva descritto il caso dell’operaio che vendeva le frattaglie all’uscita riuscendo ad anticipare sistematicamente l’uscita dei suoi colleghi.
Né aveva accennato alle balle di panni americani che gli operai portavano nello stabilimento.
Le acquistavano a Resina (Ercolano) per diecimila lire e rivendevano i capi a mille lire ognuno.
Guadagnando molto perché , in una balla , di vestiti buoni ce n’erano magari cento o anche più.
E per vendere i panni americani fermavano la catena di montaggio dell’Alfasud !...
Quel politico napoletano che oggi sorride e rassicura i passanti sul suo impegno alla Regione Campania ha perso i capelli ma non il vizio di fregare la gente.
Lui nella prima metà degli anni 70, da buon sindacalista della Commissione interna , fece un gran baccano pur di dimostrare che “microconflittualità ed assenteismo” derivavano dall’ambiente di lavoro che era stato progettato male.
Come la linea di verniciatura che alfine dovette essere rifatta.
Ma quando l’azienda decise di smontare l’ufficio dei metodisti lui non ci rispose affatto .
Salvatore ripensava a quel manager che era stato responsabile dell’ufficio metodi produttivi a Pomigliano e che dopo , ai vertici della FIAT , aveva dato gran conto di se.
Lavorava benissimo e se ne dovette andare ad Arese per una scelta della Direzione Generale che si stava riprendendo il cervello dello stabilimento per lasciare a Pomigliano solo il corpo pieno di ferite inguaribili e piaghe puzzolenti.
L’ufficio tempi e metodi di produzione è il cervello di una fabbrica di automobili perché studia il tempo ed il modo in cui si deve realizzare ogni particolare del progetto automobile.
E pertanto stabilisce il vero costo industriale del prodotto.
Una fabbrica di automobili con i metodisti è autonoma e produttiva.
Senza i metodisti diventa una catena di montaggio stupida , una fabbrica cacciavite , come dicono oggi.
Ma Pomigliano diventò una fabbrica martello o incudine ,che rende ancora meglio il concetto , in quanto utensile meno ingegnoso del cacciavite stesso .
Qualsiasi speranza che i tecnici di Napoli potessero fare scuola a Pomigliano ed imparare a produrre automobili a livello industriale tramontò ed i signori politici non dissero niente.
Forse questi collegamenti erano più utili a Salvatore che la ricerca delle sue personali responsabilità.
Salvatore stava riesumando il modo in cui si era concluso un sogno, il sogno di un periodo stupendo della propria vita in cui aveva imparato a costruire stabilimenti di automobili.
Egli era entrato all’Alfasud con un contratto a tempo.
In realtà egli non dipendeva dall’INCA (Industria Napoletana Costruzione Automobili) , vero nome dell’azienda Alfasud , bensì dalla SIPI (Società Italiana Progettazione Impianti) di Torino che aveva progettato e realizzato lo stabilimento per conto dell’Alfa Romeo di Arese.
Ed era andato a lavorare nello stabilimento di Pomigliano , al fabbricato CS2 , dove c’erano insieme le progettazioni e le costruzioni e le manutenzioni.
Un grosso ingegnere di Asti , l’ingegnere Piero Innocenzo Rosso, lo aveva voluto nel suo staff e da lui aveva imparato molte cose.
Questo ingegnere proveniva da Togliattigrad , in Russia , dove era stato membro della delegazione FIAT inviata a sovrintendere alla costruzione dello stabilimento delle auto 124 , le “zigulì” .
A Napoli aveva invece svolto le funzioni del Site Manager.
L’ambiente e le cose che bollivano in pentola erano grosse ed allettanti per un giovane geometra plebeo di Napoli che finalmente era arrivato nel posto giusto.
Alla corte dell’ingegner Rosso Salvatore ci trovò una nutrita schiera di progettisti , architetti e disegnatori capaci di fare tutto.
Essi avevano progettato il Centro Direzionale dello stabilimento di Pomigliano ed avevano completato tutti i fabbricati industriali del complesso.
Quando , per l’errore del responsabile di una ditta di montaggio napoletana , un fabbricato a struttura metallica si dilatò oltremodo fino a separarsi in due parti , Salvatore stette sul posto insieme a tutti gli altri per dieci giorni e dieci notti ininterrottamente.
In effetti le dilatazioni termiche in questo genere di fabbricati vanno assecondate permettendo alle differenti parti della struttura di copertura di scorrere una sull’altra.
Invece l’omino, che aveva guardato i disegni senza approfondirne il contenuto , aveva fatto saldare tutte le giunzioni delle parti differenti , proprio nei punti previsti per gli scorrimenti.
Sicché , quando alla struttura di copertura vennero appese le grosse tubazioni di vapore surriscaldato ,il calore stesso dilatò la struttura facendola aprire alle estremità.
L’ingegner Rosso balzò su tutte le furie , buttò via la giacca e si addentrò in cantiere con i suoi uomini.
C’era il rischio enorme che si potesse rompere una tubazione con il vapore.
Il getto avrebbe potuto ammazzare la gente tagliandola in due parti ; infatti il vapore alla pressione di 5 atmosfere ed alla temperatura di 180° è un gas invisibile e potente come un raggio laser !
In dieci giorni e dieci notti l’equipe di specialisti riuscì a compiere il miracolo ed il fabbricato fu riparato senza alcun danno a persone o a cose.
Intanto Salvatore si era guadagnato i galloni di sergente sul campo e si occupava anche della progettazione.
L’ingegner Rosso partì per Rio de Janeiro e tornò con le mappe di un lotto di terreno su cui sarebbe dovuto sorgere lo stabilimento gemello dell’Alfasud in Brasile.
Progettisti , geometri e disegnatori lavorarono giorno e notte per presentare il progetto in tempo ad Arese e riuscirono a realizzarne anche il plastico.
Salvatore sognava , nel lontano 1972 , di trasferirsi a Rio e di fare l’amore bevendo calpiriña e mangiando granchi rossi sulla spiaggia di Copacabana.
Ma il sogno suo ebbe breve durata perché quello stabilimento non fu mai costruito.
E l’ingegner Rosso nel 1973 lasciò l’Alfasud insieme alla sua squadra.
Per cui anche Salvatore si trovò senza lavoro.
Lo stabilimento di Pomigliano d’Arco stava passando nelle mani di quelle persone che ne avrebbero fatto una fabbrica incudine.
E ci riuscirono presto e con poca spesa , anzi senza spese.
Chissà cos’ha ancora da ridere dai manifesti elettorali quel politico della Regione Campania che ritiene di avere ben saldo il suo elettorato !
Lui è felice di essere a cavallo ma non mi è stato mai chiaro perché questi nostri delegati al governo delle istituzioni del paese ci fanno sempre capire che loro preferiscono montare ronzini spelacchiati o muli in luogo di puledri veri.
Io non dico che quell’uomo felice avrebbe mai cavalcato Varenne, ma penso possa essere legittima aspirazione quella di montare Varenne !...
Ed invece no .
Cavalcare Varenne avrebbe potuto significare assecondare la crescita di quei giovani tecnici cui l’industria di Stato aveva pur sempre dato una grossa occasione di lavoro e di crescita costruendo l’Alfasud.
Questi tecnici avrebbero fatto scuola producendone altri.
Invece di stampare manifesti con la sua effigie sorridente , oggi quel politico avrebbe potuto organizzare meeting internazionali e dialogare con coreani e giapponesi sui metodi per risolvere i problemi del mercato o per combattere la paventata automobile cinese.
Ma avrebbe dovuto cominciare mettendosi contro lo scempio dei cervelli che fu fatto a Pomigliano d’Arco nel 1975 , cosa che non fece mai .
Quanti tecnici sarebbero stati oggi al suo fianco per proporre l’industria delle automobili , italiana e napoletana , quale referente nei piani di sviluppo internazionali.
Ma forse non ne sarebbe stato capace.
Oggi quel politico felice preferisce tenersi i cinesi chiusi in casa sua , fingendo di non saperlo , e inventare una bugia riparatrice solo nel caso in cui da costoro dovesse provenirgli un qualsiasi problema “da prima pagina”.
E trascurando completamente i guai di fondo che l’operosa economia cinese sta creando al nostro paese, magari lavorando di nascosto nelle fabbriche che furono finanziate dai nostri governi.
Quando il capo del governo , onorevole Emilio Colombo , venne una Domenica mattina ad inaugurare il Centro Direzionale dello stabilimento Alfasud di Pomigliano d’Arco quel sindacalista della commissione interna era presente .
C’era anche Salvatore.
E quando l’onorevole Emilio Colombo pronunciò la ormai storica frase :
“ Non siamo venuti qui ad inaugurare una cattedrale nel deserto...”
tutti applaudirono convinti e creduli.
Ancora oggi quelle parole turbano i sogni dei tecnici napoletani, che ci credettero.
Magari il politico felice quelle parole se le sarà scordate.
Ma Salvatore quelle cattedrali ce l’ha nell’anima .
Nella sua anima disperata ci sono oggi collegamenti , ricordi , paure di connivenze ,sensi di colpa , fioche speranze e nessuna certezza.
Per Salvatore non cominciò tutto in quella Domenica mattina ?
Salvatore stava ricordando quell’evento.
C’erano tutti ed in prima fila sedeva l’ingegner Rudolph Hruska, direttore dello stabilimento e progettista dell’automobile Alfasud.
Costui era un grosso intenditore di automobili ed aveva collaborato perfino con la Renault e con l’Abarth tirandone fuori dei modelli di successo.
Era austriaco ed aveva accettato di buon grado di guidare il progetto Alfasud in quanto ci credeva.
Aveva fatto costruire un’automobile che , progettualmente , stava dieci anni davanti alla concorrenza e che costava moderatamente.
Forse fu fatto fuori proprio per questo.
Aveva portato un team di giovani progettisti napoletani assieme a lui in Tunisia , per un lungo periodo , nel deserto a provare e collaudare l’automobile in condizioni estreme.
Cosa dovettero pensare questi giovani e fortunati tecnici napoletani in quel periodo in Tunisia ?
Dovettero lavorare e pensare di essere stati fortunati.
Davanti a loro si stava schiudendo un futuro ricco di esperienze e di lavoro , di incontri e di miglioramenti fino ai vertici dell’industria dell’automobile che aveva scelto da sempre Napoli come sua sede prediletta.
Anche Salvatore aveva sognato insieme a quel suo caro amico , ingegnere napoletano , che guidava il coupé nel deserto.
Poi non ci fu più bisogno di sognarlo ...
Il deserto raggiunse Salvatore a Pomigliano d’Arco e circondò lo stabilimento dell’Alfasud stesso.
Sogno e realtà si fusero nel peggiore dei modi.
Il deserto dei sogni , quello che stava nell’anima , divenne un riscontro reale perché se lo trovarono fuori in casa loro.
Ed i giovani ingegneri napoletani smisero di sognare e passarono a lavorare con l’ISVEIMER , istituto delegato a concedere credito agevolato all’imprenditoria del Mezzogiorno.
Questo fu un grosso riconoscimento che venne dato innanzitutto agli uomini politici che rappresentavano i tecnici stessi.
Politici che almeno seppero cavalcare qualche buon puledro...
Molti ebbero successo perché bravi , altri perché montati da politici buoni , altri ancora perché affamati ed assetati.
Salvatore stava ripensando ad uno di cui parlarono a lungo i giornali italiani.
L’ingegnere che aveva raggiunto San Vittore con il cellulare... dei carabinieri.
Il suo volto di arrivista e di spietato speculatore e corruttore, capace di non salutare perfino l’amico di sempre e disinteressato che andò ad accoglierlo al suo ritorno da San Vittore... si fece avanti nella sua mente come fanno gli spiriti maligni.
In cerca di una reincarnazione , essi affollano la mente del medium e tentano di insidiarne i poteri extrasensoriali per essere evocati.
Così faceva l’immagine di costui nella mente di Salvatore mentre lui cercava di scacciare perfino il ricordo di quel nome teutone che lo contraddistingue ancora.
E ci riuscì pensando alla ragazza di cui costui era stato il primo ed indegno amore.
Era stata anche una sua cara amica , ma aveva amato costui con tutta se stessa fino al momento in cui lui si laureò in ingegneria elettrotecnica.
Senza alcun altro motivo lui la lasciò per sposare la figlia di personaggi del suo paese impelagati con quei politici di bassa lega che lo avrebbero poi portato all’ISVEIMER.
Prima di finire in cellulare a San Vittore costui si fece “apprezzare” dall’imprenditoria del Mezzogiorno per la perizia con cui coglieva le anomalie dei finanziamenti concessi dall’Istituto.
Lui si recava nelle fabbriche beneficiarie del credito e ci scovava la frode , l’inganno , l’estorsione del credito agevolato concesso dallo Stato.
A quel punto scattava la legge della tangente che pretendeva personalmente , seduta stante , in moneta contante.
Fece molti danni in giro e gli altri lo fecero a lui.
Qualcuno gli mise perfino le mani addosso.
Ma questo impegno venne premiato in parlamento con la promozione, riuscendo anche ad anticipare altri colleghi più meritevoli di lui.
Il politico che cavalcava questa tigre famelica ebbe ragione di un illustre fantino cui “Mani pulite” avrebbe tolto ogni potere.
Ma forse il puledro montato dall’illustre fantino ebbe paura della tigre famelica sul fotofinish !
Ed essa si spostò nell’area Centro Nord del paese.
Gli sconquassi che vi seminò portarono la Guardia di Finanza nella sua villa di Capri ed il TG mostrò gli innumerevoli libretti al portatore che nascondeva sotto il letto di casa sua.
Migliaia di milioni di vecchie lire frodati per consentire la frode.
Poi giunse la revisione delle leggi per gli interventi nel Mezzogiorno e l’abolizione della Cassa e dell’ISVEIMER.
La legge 488 ne modificò tutti i meccanismi.
Ma di “parrocchie nel deserto” dell’area Cassa ce ne sono tantissime , disseminate su un territorio che dalla Sicilia arriva fino ad Ascoli Piceno.
Sono stabilimenti piccoli , insediamenti industriali con bassa occupazione , quasi un artigianato industrializzato.
La SPARTAK era una delle poche aziende , finanziate dalla Cassa , che funzionava bene.
Dall’area industriale di Teverola mandava in giro per il mondo mobili in legno di arte povera scomposti in piccoli pacchi facilmente trasportabili.
Era costata 1200 milioni delle vecchie lire e , con l’apporto della quota a fondo perduto di circa il 50 % , era scesa a circa 600 milioni. Ma con gli interessi del leasing fatto dalla F.A.ME. era tornata a costare 1200 milioni.
L’imprenditore della SPARTAK aveva scontato più di 1000 milioni quando giunse l’abolizione della Cassa e la F.A.ME. stessa sparì.
Costui ebbe dei seri problemi per mettersi in contatto con il suo interlocutore.
Gli ingegneri della F.A.ME. si erano dileguati e Pecorini era tornato a vendere i cavalli usati.
Dopo qualche pausa l’imprenditore ebbe problemi personali.
Un ictus piuttosto grave gli aveva paralizzato quasi tutto il corpo ; la sua attività si era fermata e lui non riusciva a tenere le maestranze.
Due operai gli fecero istanza di fallimento per venti milioni di vecchie lire.
Anche la SPARTAK rimase paralizzata e venne chiusa.
Dinanzi alla recinzione cominciarono a crescere le erbacce.
Per qualche anno non accadde più niente .
Poi la F.A.ME. venne rilevata da un gruppo bancario che prese ben presto a lavorare.
Lo stabilimento non era stato mai riscattato dall’imprenditore e quindi ,essendo ancora proprietà della F.A.ME., non era stato incluso nel fallimento .
LA nuova proprietaria della F.A.ME. non tenne in conto il miliardo scontato.
Poiché con il leasing si noleggia il bene che si acquista con il riscatto finale ,il gruppo bancario si ritenne ancora proprietario e , in mancanza del riscatto , non poté tenere conto delle rate già corrisposte.
E con esse anche del finanziamento a fondo perduto che era stato concesso dallo Stato a questo imprenditore del Mezzogiorno.
Insomma esso ora andava a beneficio del gruppo bancario.
Salvatore ripensava a tutto ciò e gli pareva una grossa ingiustizia.
D’altronde , se anche l’imprenditore stesso si fosse preoccupato di riscattare ora l’immobile , esso sarebbe finito tra le mani della curatela fallimentare.
E non si poteva farlo riscattare da nessun altro .
Ecco come , nell’incastro di un mosaico perfetto , leggi ed uomini di potere stavano facendo scempio di quanto altri uomini avevano voluto creare per assistere lo sviluppo nella nostra terra.
E lo scempio si stava perpetrando ai danni di una fabbrica che funzionava bene , ma che si era bloccata per l’ictus voluto da Dio.
Nella mente di Salvatore tornava il confronto tra la fabbrica di ruote di Francesca e la SPARTAK.
Tutto bene per una fabbrica senza acqua ed energia elettrica che era riuscita a produrre solo per poco tempo ed ora faceva produrre ai nemici dell’economia del nostro paese.
Tutto male per la SPARTAK che aveva prodotto seriamente e dato occupazione per molti anni .
Durante un giro per l’area industriale di Teverola Salvatore si fermò dinanzi alla SPARTAK e dovette aprirsi un varco tra le erbacce per rimirare il bel prospetto di questo gioiellino architettonico creato dal suo ex-socio, l’ingegnere di Mezzocannone.
Si intrattenne con una guardia giurata da cui seppe che lo stabilimento era abbandonato da alcuni anni.
L’area industriale di Teverola era cambiata molto ; oggi si poteva anche chiamare area commerciale ...
Molti stabilimenti facevano bella mostra di insegne pubblicitarie che invitavano a “comprare in fabbrica” i loro prodotti.
I nuovi tempi avevano contagiato gli imprenditori e li avevano fatti diventare commercianti.
Una grossa botte in muratura troneggiava all’ingresso di un lotto invitando ad entrare per provare e degustare vini tipici.
La vecchia considerazione che Salvatore aveva fatto sulla vocazione nuova dei megastore e dei centri commerciali tornava d’attualità.
Ma anche a Teverola Salvatore scorgeva qualche “parrocchia nel deserto” ...
Con l’automezzo Salvatore faceva il giro di manutenzione tra le proprietà della vedova e si muoveva in ambiti piuttosto estesi.
Qualche ora dopo si trovava a S. Nicola la Strada (CE) e passò dinanzi ad un altro capolavoro dell’ingegno degli uomini potenti.
Questo capolavoro non era una parrocchia o , per lo meno , Salvatore non ne aveva potuto appurare l’estorsione in danno alla Cassa. Però c’era stato di peggio.
Stavolta si trattava di attentati alla vita umana.
In questo complesso metalmeccanico si producevano lamierati per l’industria automobilistica ; piccole parti di lamiera che si commissionano a terzi per velocizzare la produzione.
Il complesso era di una società dal nome sconosciuto di cui Salvatore ignorava provenienza ed appartenenza.
All’interno Salvatore ci aveva installato le macchine.
Vecchie presse , in uso da decenni altrove , erano state trasferite in questo capannone per esalare l’ultimo respiro tra le braccia del popolo napoletano !
Ed infatti furono proprio le pietose braccia del popolo napoletano ad essere sacrificate su questi altari di vecchia ghisa tinteggiati alla meglio per mascherarne l’età .
Gli incidenti non si contarono.
Ispettorato del lavoro ed autorità giudiziaria ,ebbero il loro bel da fare a cercare le cause degli incidenti !
Salvatore non riusciva a credere quali indagini si dovessero fare per mettere in chiaro una circostanza palese : la vetustà , nel senso della inadeguatezza , delle macchine.
La figlia di un burocrate del paese si occupava di prevenzione degli infortuni ed ebbe un bel da fare , con l’aiuto di suo padre, a mascherare gli incidenti sotto una luce diversa.
Le presse furono sequestrate e dissequestrate una per volta ; vennero periziate ed adeguate , controllate e registrate ma continuarono a pretendere il sangue umano oltre all’energia elettrica ed all’aria compressa per funzionare .
Lo stabilimento non venne mai chiuso ed ancora oggi era in funzione.
Salvatore fece un sorriso amaro e procedette oltre .
Un megastore in franchising lo inghiottì nel suo enorme parcheggio per il rito della manutenzione.
Questi pensieri lo stavano turbando abbastanza .
Ormai da qualche tempo egli si era sistemato nella manutenzione dei beni ed avrebbe dovuto sentirsene soddisfatto.
Ma come avrebbe potuto continuare ogni giorno , di tutto il resto dei suoi giorni , ad occuparsi di queste cose solo per denaro ?
In effetti il denaro gli occorreva , come serve a tutti quelli che si alzano ogni mattina , ma nel lavoro Salvatore ci aveva cercato sempre qualcosa di più .
In questi suoi ritorni al passato lui ci aveva trovato amarezze e delusioni ma le delusioni sono pur sempre la negazione delle illusioni.
Delusioni ed illusioni sono della stessa famiglia .
La delusione nasce nell’anima di chi si aspettava qualcosa che poi non arriva.
Il denaro arriva molto spesso , ma l’oggetto di una illusione può facilmente rimanere disatteso .
Se però ti dicono che puoi lavorare e non ti devi aspettare nessuna crescita , e se intanto il lavoro stesso non ti gratifica per quello che è ,allora vuol dire che non potrai essere mai deluso perché a-priori ti hanno tolto ogni illusione...
Ed a Salvatore stava succedendo proprio questo.
La sua soddisfazione era stata realizzata per gradi.
Con questo nuovo lavoro aveva provveduto a sistemare le sue entrate , ad occupare il suo tempo ; ma ora pian piano Salvatore stava passando a tener conto del suo spirito.
Gli dava fastidio di contribuire a mandare avanti l’azienda di Francesca così come facevano gli addetti dei centri commerciali... solo in cambio della paga e rispettosi dello schieramento scelto.
Gli facevano eco certi concetti che Francesca una mattina gli aveva esposto con molta chiarezza.
“ Ci guardiamo le spalle , caro Salvatore , da amici e da nemici.
Io preferisco i nemici . Sono più semplici da controllare.
Gli amici mi hanno fatto sempre paura.
Una mattina seppi che un geometra ci stava facendo le scarpe.
Avevamo trattato a lungo per aprire un ipermercato nella sua zona.
Lui era uno dei nostri e ci avrebbe dovuto dare una mano.
Stava in politica ed all’ufficio tecnico del Comune e poteva muovere bene le carte.
Ma i problemi nelle sue mani divenivano sempre più grandi.
Fingemmo di spostare i nostri interessi altrove.
L’ipermercato si realizzò in poco tempo.
Lui aveva intascato la tangente senza dire niente a nessuno ed aveva dato la Concessione edilizia a nostra insaputa.
Ma noi lo venimmo a sapere lo stesso...
Volevamo disobbligarci con lui e gli mandammo un amico con una torta.
Una domenica mattina suo figlio aprì la porta e non volle accettare il regalo.
L’amico si offese e venne a diverbio con il giovane.
Intervenne anche suo padre.
Ma , durante la discussione , all’amico saltarono le cervella ed infilò una mano nella torta.
La pistola che ci avevamo nascosto per una sorpresa purtroppo era carica e partì un colpo che ammazzò il geometra.
Ne rimanemmo molto dispiaciuti e facemmo le condoglianze alla famiglia.
Il ragazzo divenne adulto ed ora fa il politico come suo padre.
Ma gira alla larga dai nostri interessi e preferisce fare lo smargiasso con le istituzioni.
Per il suo paese non fa niente , ma accaparra incarichi ed appalti per i suoi amici.
L’importante è che stia lontano da noi.”
Salvatore scosse la testa.
“ E’ un caso che facesse il geometra anche lui ? ” chiese.
“ Si è un caso. ” gli rispose la vedova.
E , dopo una piccola pausa , aggiunse :
“ Ma potrebbe anche non esserlo.
Prendilo come un avvertimento.
Vale anche per te.
Non ti far venire nessun pensiero.
Con me non ti conviene sbagliare.
Se il lavoro non ti soddisfa vieni da me e parliamone.
Ma se pensi di fare di testa tua potresti metterti contro di me ed io non te lo perdonerei mai. Pensaci bene.
Ulteriori informazioni: http://blogs.myspace.com/index.cfm?fuseaction=blog.view&friendId=422062530&blogId=441890787#ixzz0rEsJ8IOn
Unica sola legge che io conosca in grado di darmi la visione reale della fattibilità di un piano oppure no.
Leggete se avete voglia:
L'alternativa a Marchionne
16/06/2010
di Guido Viale (ilManifesto.it)
Non c'è alternativa. Questa sentenza apodittica di Margaret Thatcher per la quale è stato creato anche un acronimo (Tina: there is no alternative) è la silloge del cosiddetto «pensiero unico» che nel corso dell'ultimo trentennio ha accompagnato le dottrine più o meno «scientifiche» da cui sono state orientate, o con cui sono state giustificate, le scelte di volta in volta dettate dai detentori del potere economico: prima liberismo (a parole, con grande dispendio di diagrammi e formule matematiche, ma senza mai rinunciare agli aiuti di stato e alle pratiche monopolistiche); poi dirigismo e capitalismo di stato (per salvare banche, assicurazione e giganti dell'industria dai piedi d'argilla dal precipizio della crisi); per passare ora a un vero e proprio saccheggio, usando come fossero bancomat salari, pensioni, servizi sociali e «beni comuni», per saldare i debiti degli Stati messi in crisi dalle banche appena salvate. Così la ricetta che non contempla alternative oggi è libertà dell'impresa; che va messa al di sopra di sicurezza, libertà e dignità, ovviamente dei lavoratori, inopportunamente tutelate dall'art. 41 della Costituzione italiana.
A enunciarlo in forma programmatica è stato Berlusconi, subito ripreso dal ministro Tremonti e, a seguire, dall'autorità sulla concorrenza, che non ha mai mosso dito contro un monopolio. A tradurre in pratica quella ricetta attraverso un aut aut senza condizioni, subito salutato dagli applausi degli imprenditori giovani e meno giovani di Santa Margherita Ligure, è stato l'amministratore delegato della Fiat, il Valletta redivivo del nuovo secolo. Eccola. Limitazione drastica (e anticostituzionale, ma per questi signori la Costituzione va azzerata; e in fretta!) del diritto di sciopero e di quello di ammalarsi.
Una organizzazione del lavoro che sostituisce l'esattezza cronometrica del computer alla scienza approssimativa dei cronometristi (quelli che un tempo alla Fiat si chiamavano i «vaselina», perché si nascondevano dietro le colonne per spiare gli operai e tagliargli subito i tempi se solo acceleravano un poco per ricavarsi una piccola pausa per respirare). Una turnazione che azzera la vita familiare, subito sottoscritta da quei sindacalisti e ministri che due anni fa erano scesi in piazza per «difendere la famiglia»: la loro, o le loro, ovviamente. È un ricatto; ma non c'è alternativa. Gli operai non lo possono rifiutare e non lo rifiuteranno, anche se la Fiom, giustamente, non lo sottoscrive. L'alternativa è il licenziamento dei cinquemila dell'Alfasud - il «piano B» di Marchionne - e di altri diecimila lavoratori dell'indotto, in un territorio in cui l'unica vera alternativa al lavoro che non c'è è l'affiliazione alla camorra.
Per anni, a ripeterci «non c'è alternativa» sono stati banchieri centrali, politici di destra e sinistra, sindacalisti paragovernativi, professori universitari e soprattutto bancarottieri. Adesso, forse per la prima volta, a confermarlo con un referendum, sono chiamati i lavoratori stessi che di questo sopruso sono le vittime designate. Ecco la democrazia del pensiero unico: votate pure, tanto non c'è niente da scegliere.
Effettivamente, al piano Marchionne non c'è alternativa. Nessuno ci ha pensato; neanche quando il piano non era ancora stato reso pubblico. Nessuno ha lavorato per prepararla, anche quando la crisi dell'auto l'aveva ormai resa impellente. Nessuno ha mai pensato che sarebbe stato necessario averne una, anche se era chiaro da anni che prima o poi - più prima che poi - la campana sarebbe suonata: non solo per Termini Imerese, ma anche per Pomigliano.
Ma a che cosa non c'è alternativa? Al «piano A» di Marchionne. Un piano a cui solo se si è in malafede o dementi si può dar credito. Prevede che nel giro di quattro anni Fiat e Chrysler producano - e vendano - sei milioni di auto all'anno: 2,2 Chrysler, 3,8 Fiat, Alfa e Lancia: un raddoppio della produzione. In Italia, 1,4 milioni: più del doppio di oggi. La metà da esportare in Europa: in un mercato che già prima della crisi aveva un eccesso di capacità del 30-35 per cento; che dopo la sbornia degli incentivi alla rottamazione, è già crollato del 15 per cento (ma quello della Fiat del 30); e che si avvia verso un periodo di lunga e intensa deflazione.
Quello che Marchionne esige dagli operai, con il loro consenso, lo vuole subito. Ma quello che promette, al governo, ai sindacati, all'«opinione pubblica» e al paese, è invece subordinato alla «ripresa» del mercato, cioè alla condizione che in Europa tornino a vendersi sedici milioni di auto all'anno. Come dire: «il piano A» non si farà mai.
Non è una novità. Negli ultimi dieci anni, per non risalire più indietro nel tempo, di piani industriali la Fiat ne ha già sfornati sette; ogni volta indicando il numero di modelli, di veicoli, l'entità degli investimenti e la riduzione di manodopera previsti. Tranne l'ultimo punto, che era la vera posta in palio, degli obiettivi indicati non ne ha realizzato, ma neanche perseguito, nemmeno uno. Ma è un andazzo generale: se i programmi di rilancio enunciati da tutte le case automobilistiche europee andassero in porto (non è solo la Fiat a voler crescere come un ranocchio per non scomparire) nel giro di un quinquennio si dovrebbero produrre e vendere in Europa 30 milioni di auto all'anno: il doppio delle vendite pre-crisi. Un'autentica follia.
Dunque il «piano A» non è un piano e non si farà. L'alternativa in realtà c'è, ed è il «piano B». Se a chiudere non sarà Pomigliano, perché Marchionne riuscirà a farsi finanziare da banche e governo (che agli «errori» delle banche può sempre porre rimedio: con il denaro dei contribuenti) i 700 milioni di investimenti ipotizzati e a far funzionare l'impianto - cosa tutt'altro che scontata - a cadere sarà qualche altro stabilimento italiano: Cassino o Mirafiori. O, più probabilmente, tutti e tre. La spiegazione è già pronta: il mercato europeo non «tirerà» come si era previsto
Hai voglia! Il mercato europeo dell'auto è in irreversibile contrazione; l'auto è un prodotto obsoleto che nei paesi ad alta intensità automobilistica non può che perdere colpi: «tirano», per ora, solo i paesi emergenti - fino a che il disastro ambientale, peraltro imminente, non li farà recedere anch'essi - ma le vetture che si vendono là non sono certo quelle che si producono qui: né in Italia né in Polonia.
Anche se la cosa non inciderà sulle scelte dei prossimi mesi, è ora di dimostrare che non è vero che non c'è alternativa. L'alternativa è la conversione ambientale del sistema produttivo - e dei nostri consumi - a partire dagli stabilimenti in crisi e dalle fabbriche di prodotti obsoleti o nocivi, tra i quali l'automobile occupa il secondo posto, dopo gli armamenti. I settori in cui progettare, creare opportunità e investire non mancano: dalle fonti di energia rinnovabili all'efficienza energetica, dalla mobilità sostenibile all'agricoltura a chimica e chilometri zero, dal riassetto del territorio all'edilizia ecologica. Tutti settori che hanno un futuro certo, perché il petrolio costerà sempre più caro - e persino le emissioni a un certo punto verranno tassate - mentre le fonti rinnovabili costeranno sempre meno e l'inevitabile perdita di potenza di questa transizione dovrà essere compensata dall'efficienza nell'uso dell'energia. L'industria meccanica - come quella degli armamenti - può essere facilmente convertita alla produzione di pale e turbine eoliche e marine, di pannelli solari, di impianti di cogenerazione. Poi ci sono autobus, treni, tram e veicoli condivisi con cui sostituire le troppe auto, assetti idrogeologici da salvare invece di costruire nuove strade, case e città da riedificare - densificando l'abitato - dalle fondamenta.
Ma chi finanzierà tutto ciò? Se solo alle fonti rinnovabili fosse stato destinato il miliardo di euro che il governo italiano (peraltro uno dei più parsimoniosi in proposito) ha gettato nel pozzo senza fondo delle rottamazioni, ci saremmo probabilmente risparmiati i due o tre miliardi di penali che l'Italia dovrà pagare per aver mancato gli obiettivi di Kyoto. Ma anche senza incentivi, le fonti rinnovabili si sosterranno presto da sole e i flussi finanziari oggi instradati a cementare il suolo, a rendere irrespirabile l'aria delle città, impraticabili le strade e le piazze, a riempirci di veleni per rendere sempre più sterili i suoli agricoli, a sostenere un'industria delle costruzioni che vive di olimpiadi, expo, G8, ponti fasulli e montagne sventrate potranno utilmente essere indirizzati in altre direzioni. È ora di metterci tutti a fare i conti!
Ma chi potrà fare tutte queste cose? Non certo il governo. Né questo né - eventualmente - uno di quelli che abbiamo conosciuto in passato; e meno che mai la casta politica di qualsiasi parte. Continuano a riempirsi la bocca con la parola crescita e stanno riportandoci all'età della pietra. La conversione ecologica si costruisce dal basso «sul territorio»: fabbrica per fabbrica, campo per campo, quartiere per quartiere, città per città. Chi ha detto che la programmazione debba essere appannaggio di un organismo statuale centralizzato e non il prodotto di mille iniziative dal basso? Chiamando per cominciare a confrontarsi in un rinnovato «spazio pubblico», senza settarismi e preclusioni, tutti coloro che nell'attuale situazione non hanno avvenire: gli operai delle fabbriche in crisi, i giovani senza lavoro, i comitati di cittadini in lotta contro gli scempi ambientali, le organizzazioni di chi sta già provando a imboccare strade alternative: dai gruppi di acquisto ai distretti di economia solidali. E poi brandelli di amministrazioni locali, di organizzazioni sindacali, di associazioni professionali e culturali, di imprenditoria ormai ridotta alla canna del gas (non ci sono solo i «giovani imprenditori» di Santa Margherita); e nuove leve disposte a intraprendere, e a confrontarsi con il mercato, in una prospettiva sociale e non solo di rapina.
Il tessuto sociale di oggi non è fatto di plebi ignoranti, ma è saturo di intelligenza, di competenze, di interessi, di saperi formali e informali, di inventiva che l'attuale sistema economico non sa e non vuole mettere a frutto.
Certo, all'inizio si può solo discutere e cominciare a progettare. Gli strumenti operativi, i capitali, l'organizzazione sono in mano di altri. Ma se non si comincia a dire, e a saper dire, che cosa si vuole, e in che modo e con chi si intende procedere, chi promuoverà mai le riconversioni produttive?
Fiat: Sacconi, Fiom non sembra sindacato ma organizzazione politica
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(ANSA) - ROMA, 20 GIU - 'Sono molto preoccupato circa le possibili decisioni di Fiat'. Lo ha detto il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. A 'In mezz'ora' su Rai3 replicando alla domanda su come potrebbe incidere l'esito del referendum sulle decisioni dell'azienda per Pomigliano, Sacconi ha detto: il governo fara' in modo che aderisca a quell'ipotesi di investimento'. 'Se questa vicenda dovesse concludersi negativamente - ha aggiunto - la responsabilita' assunta dalla Fiom e' straordinaria'.
Fiat: Brunetta, sinistra a Pomigliano sta dalla parte dei fannulloni
(ANSA) - ROMA, 20 GIU - La Fiom e' 'ossessivamente conflittuale'. Il ministro Brunetta boccia i metalmeccanici Cgil in vista del referendum di martedi' a Pomigliano. 'Si gioca una partita che va al di la' di Pomigliano', afferma Brunetta che accusa la Fiom e in parte la Cgil, che vede sempre e comunque il conflitto fra capitale e lavoro, a prescindere dal contesto storico e dai contenuti. Per quanto riguarda il referendum, Brunetta chiama il Sud 'migliore, che chiede lavoro ed e' ancora vivo' a 'battere un colpo'.
io son certo che migliaia di lavoratori han voglia e bisogno di lavorare e voteranno per il si!
In bocca al lupo per tutto!
Referendum di Pomigliano,
alta l'affluenza. «Al voto il 95%»
Quasi 4 mila lavoratori si sono già presentati alle urne. Tensione e accuse all'esterno dello stabilimento
Marcegaglia: «Serve responsabilità». Bersani: «Se vince il sì la fiat mantenga gli impegni»
MILANO - Sono quasi 4 mila i lavoratori di Pomigliano d'Arco (sul totale di circa 5.100) che alle 18 hanno votato al referendum sull'accordo relativo al futuro dello stabilimento campano della Fiat. Lo riferisce Giovanni Sgambati, segretario della Uilm Campania che sta monitorando costantemente l'andamamento. «Se si va avanti così - prevede - si va verso una adesione finale del 94-95%. Un risultato altissimo, al di sopra di ogni aspettativa, una partecipazione - osserva il sindacalista raggiunto telefonicamente - che ci soddisfa molto: auspichiamo che ci sia anche un largo consenso». I seggi restano aperti fino alle 21, dopo inizierà lo spoglio: l'esito è atteso verso le 23.
IL REFERENDUM - I lavoratori sono chiamati a esprimersi sull'accordo separato tra azienda e sindacati: una scelta che potrebbe essere decisiva per il destino dello stabilimento, dei 700 milioni di investimenti per portare la produzione della Panda dalla Polonia a Pomigliano e, dunque, per il futuro lavorativo degli oltre 5mila Fiat e dei 15mila impiegati nell'indotto. L'intesa è stata siglata da Fim Cisl, Uilm Uil, Fismic e Ugl, mentre la Fiom Cgil non ha firmato contestando gli interventi che interferiscono con norme del contratto nazionale o della legislazione (assenteismo e vincoli al diritto di sciopero).
LA GIORNATA - Alle otto sono partite le votazioni che dureranno fino alle 21; di seguito inizierà lo spoglio. È nella sala dove si pagano gli stipendi che gli operai possono esprimersi: niente cassa integrazione, almeno per oggi, proprio per consentire a tutti le votazioni. Il quesito, al quale i lavoratori devono rispondere con una croce sul 'Sì' o sul 'No', è: «Sei favorevole all'ipotesi d'accordo del 15 giugno 2010 sul progetto 'Futura Panda' a Pomigliano?». Dieci urne sono dentro la fabbrica; un'altra è nello stabilimento di Nola, dove c'è il polo della logistica.
ACCUSE - Una giornata decisiva, per lo stabilimento Fiat. Quasi inevitabili i segnali di tensione e nervosismo all'esterno. Accuse reciproche vengono rivolte da una parte all'altra, perfino per interviste rilasciate alle tv. E così capita che il delegato provinciale della Fim, Michele Liberti, sindacato che ha firmato l'intesa, punti l'indice contro un esponente del Cobas («mi hai rivolto accuse pesanti, inaccettabili») e, viceversa, il Cobas - rappresentato da Mimmo Mignano, ex operaio Fiat poi reintegrato - replichi «siete dei venduti». Parole grosse davanti allo stabilimento, il tutto mentre gli operai continuano a dire:«All'interno dello stabilimento i lavoratori sono sereni».
I COMMENTI - Sulla vicenda interviene intanto Emma Marcegaglia. «L'impressione è che i lavoratori mostreranno il senso di responsabilità che serve» - afferma il presidente di Confindustria da Bruxelles - e capiranno che in un'area delicata come quella di Pomigliano dire 'no' a un investimento di 700 milioni e al ritorno della produzione dalla Polonia sarebbe problematico. Sarebbe un segnale negativo per la capacità di attrarre investimenti nel nostro Paese». Secondo lo Slai-Cobas il referendum non finirà con «un plebiscito del sì». Vittorio Granillo, della dirigenza del sindacato, ha infatti affermato che il «60% dei lavoratori voterà sì mentre il 40% dirà no all’accordo». Una percentuale che «creerà un problema serio dal momento che non ci sarà l'80-85% auspicato da Marchionne». «Se vince il sì - commenta invece il segretario del Pd, Pierluigi Bersani - la Fiat mantenga l'impegno preso con i lavoratori: il loro sì sarebbe un sì alla Fiat». Bersani spiega che il referendum «è un passaggio molto delicato. Ora ci si deve riferire a quello, ma se i lavoratori sono andati a votare, il loro sarebbe un sì alla Fiat, per cui voglio credere che anche la Fiat darà seguito all'accordo e non seguirà altre ipotesi di cui si legge in queste ore».
Redazione online
22 giugno 2010
Speriamo che ora la fiat non voglia investire 700 milioni meno il 36%.
Cosa pensate voi in merito?